Creare un osservatorio della rivoluzione digitale che funga da organo consultivo del Consiglio di Stato. A chiederlo sono i deputati del Partito Comunista Lea Ferrari e Massimiliano Ay. La mozione preme sugli effetti che sta producendo la digitalizzazione in svariati ambiti, non da ultimo le cedole con QR e i costi aggiuntivi se si pagano agli uffici postali, i biglietti del treno sulle applicazioni e non più agli sportelli delle FFS e altri esempi spesso legati al venir meno delle ex-regie federali in termini di presenza e personale sul territorio. Fondamentale per i deputati comunisti è portare nel dibattito pubblico gli orientamenti che si intendono seguire per incoraggiare uno sviluppo sostenibile della tecnologia: il processo della rivoluzione digitale andrebbe pertanto gestito politicamente per evitare che venga completamente assorbito nell’orbita delle aziende private e degli azionisti che muterebbero il processo a loro favore, massimizzando il profitto a scapito dei lavoratori e di una democratizzazione dei processi di digitalizzazione. L’osservatorio secondo i mozionanti potrebbe avvalersi, al fine di svolgere il suo mandato, della collaborazione di realtà internazionali di ricerca già attive in Svizzera.
Il tema della digitalizzazione e dei suoi effetti “collaterali” è riconosciuto dal Consiglio di Stato che non ritiene tuttavia necessaria la costituzione di un Osservatorio – pertanto respinge la mozione in quanto la ritiene già evasa – poiché a suo dire alcuni temi sollevati dai deputati del Partito Comunista sono già oggi oggetto di studio, oltre al fatto che da maggio esiste un delegato con il compito di guidare la trasformazione digitale all’interno dell’Amministrazione e che in programma c’è pure la costituzione di uno specifico Tavolo di lavoro focalizzato sul digitale. Anche la Commissione Economia e Lavoro del Gran Consiglio (rapporto 7831 del 10 gennaio 2023) invita il parlamento a respingere la mozione, tuttavia non in quanto già evasa bensì perché ritiene che prima di creare un Osservatorio della rivoluzione digitale sia necessaria “una fotografia più accurata” delle risorse statali attualmente mobilitate e “attive in settori correlati al macro tema della digitalizzazione”: il processo digitale non concerne infatti solo economia e mondo del lavoro ma ambiti e settori che sono di competenza dello Stato, come d’altronde ben evidenzia l’atto parlamentare del Partito Comunista.
A titolo di esempio, un ambito che richiede dall’ente pubblico una risposta proattiva, è secondo la Commissione “il telelavoro che ha conosciuto un’accelerazione (dettata da fattori esogeni) in occasione della pandemia di Covid-19”. Il Partito Comunista tematizza dalla prim’ora il telelavoro, senza farsi folgorare dai facili vantaggi, ma anzi problematizzando i rischi di questo tipo di digitalizzazione che comporta l’isolamento dei lavoratori e delle lavoratrici con implicazioni sulla sindacalizzazione e i rapporti di forza nelle rivendicazioni. Deve essere chiaro che questa non è la digitalizzazione sociale nei termini per cui si batte il Partito Comunista. L’invito che la Commissione rivolge al Consiglio di Stato non è altro che il fine della mozione del Partito comunista: avviare cioè una riflessione che permetta di identificare un soggetto – “un organo già esistente in seno all’amministrazione cantonale o creato ex novo” – in grado di orientare il Cantone sulle questioni che pone l’evoluzione digitale.
Partito Comunista
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