Quelli che la sanno lunga tirano addirittura in ballo il Grand Tour. Eh sì, perché il fatto che il turismo non sia, più o meno ad ogni latitudine, soltanto una questione di alberghi e ristoranti, di clima gradevole e paesaggi mozzafiato, di infrastrutture adeguate e propensione all’accoglienza è ormai un’evidenza incontrovertibile. E non lo è, sia pure con evoluzioni e sensibilità storiche altalenanti, certamente da ieri. Di sicuro mai come oggi però il fenomeno del turismo culturale rappresenta un ambito privilegiato e prezioso (ma per questo parallelamente fondato su presupposti ed equilibri delicati e mutevoli), una nicchia di mercato e non solo, un segmento socioeconomico di importanza strategica all’interno del grande discorso sui flussi e sui movimenti durante le vacanze e il tempo libero. Anche perché, e non mancano dettagliati e autorevoli studi in materia, ad attirare il popolo dei turisti culturali non c’è soltanto un interesse specifico per la visita di monumenti, chiese, mostre, musei e siti archeologici, ma anche una motivazione più ampia che spinge a cercare di vivere il fascino delle città e dei luoghi d’arte. Occorre dunque prendere atto che buona parte dei turisti culturali non è soltanto alla ricerca dell’arte fine a se stessa, ma dell’atmosfera dei luoghi in cui si trovano immersi. In questo senso rientrano negli interessi di questo tipo di turista anche tutte le forme nelle quali si esprime la vita di un Paese, di una popolazione o di una regione. Dunque non solo capolavori d’arte e architettura, ma anche tradizioni, gastronomia, artigianato e quell’insieme di elementi socioculturali che caratterizzano un’area con tutte quelle esperienze che coinvolgono aspetti interiori della personalità e della propria crescita formativa. Ed è qui che gli esperti risalgono appunto alle origini remote del fenomeno ricollegandolo all’epopea del Grand Tour, con il quale si sviluppò in Europa un modo completamente nuovo di intendere il viaggio. A partire dalla fine del Seicento e poi per tutto il XVIII secolo, epoca in cui il fenomeno raggiunge il suo culmine, il Grand Tour si concretizza come una peregrinazione di città in città, alla ricerca delle testimonianze dell’antichità e della classicità. L’Italia, la Francia, ma anche la Svizzera sono tra le mete predilette di quel turismo d’antan. Il nostro Paese viene percorso interamente, da nord a sud, dai giovani aristocratici europei (soprattutto inglesi e tedeschi), dagli intellettuali, dai diplomatici e dai rampolli della borghesia più intraprendente. Così per la prima volta nella storia il viaggio acquista i connotati di una vera e propria consuetudine didattica e gli si conferisce anche una funzione iniziatica che, benché sottaciuta, ne costituiva spesso la motivazione primaria. Proprio un aspetto culturalmente iniziatico potrebbe avere oggi in questo primo intricato scorcio di terzo millennio un certo tipo di turismo anche per la nostra piccola realtà marginale forse, ma sovrabbondante di meraviglie storiche, archeologiche, artistiche e di tutto quel bagaglio di valori materiali e immateriali che costituiscono un immenso e sfaccettato patrimonio culturale. Partendo però dalla consapevolezza che qui gran parte del lavoro rimane ancora da fare. Da Chiasso ad Airolo, da Brissago a Lumino, la densità dell’offerta, la qualità del patrimonio, anche la relativa poca conoscenza dei nostri tesori rendono più che sorprendente la ricchezza culturale di questo lembo di Svizzera a sud delle Alpi. Non solo per chi arriva da fuori ma anche per noi che ci siamo nati o ci viviamo quotidianamente. Anche perché ci tocca in sorte un’epoca strana e straniante, e qui forse si tratta di una lacuna educativa su cui riflettere, in cui dalle nostre parti è facile incontrare ferratissimi frequentatori dei templi di Bali o delle lamasserie tibetane che però ignorano bellamente persino l’esistenza della Casa Rotonda di Corzoneso, del Museo Vela di Ligornetto o della Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno tanto per buttare là qualche esempio. In fondo quindi il segreto di questo fenomeno da coltivare e incrementare è che i primi e più importanti turisti culturali siamo noi, noi che ci siamo ritrovati in casa delle meraviglie tutte da scoprire. Per questo è innanzitutto all’interno del Paese e su tutto l’arco dell’anno che si deve incentivare il lavoro di sensibilizzazione, conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Solo così poi potremo divulgarlo con credibilità anche a coloro che vengono come ospiti magari facendo leva sugli eventi di maggior richiamo. Se anche soltanto un visitatore ogni mille (non importa se luganese doc, della Milano bene, turgoviese o di Dubai) dell’acclamata mostra di Picasso fosse incuriosito – e qui andiamo volutamente agli antipodi per visibilità, fruibilità e glamour – dai clamorosi affreschi di Antonio da Tradate nella remota Chiesa di San Michele a Palagnedra avremmo fatto il primo passo nella giusta direzione. (Matteo Airaghi, Corriere del Ticino del 31 marzo 2018)