Casale Monferrato fu in passato capitale di un regno durato ben 200 anni. A ruota della caduta dell’impero romano d’Occidente e delle successive invasioni barbariche la città divenne libero Comune e capitale dei Paleologi. Il suo nome lo ricordo sempre con affetto in quanto, da bambino, lo sentivo citare da mia mamma quando, con il treno, da Torino raggiungevamo la Lomellina dove risiedeva la sua famiglia di origine. Oggi Casale gioca ancora un ruolo nevralgico per la sua zona territoriale e io la menziono con piacere in quanto fu proprio nella piazza castello della città che mi ritrovai, l’autore non vuole citare date precise, con Ugo Bertana un giorno al mattino presto. Ugo, un collega giornalista, mi aveva promesso un giornata intera in compagnia degli uomini e delle donne del “Grignolino”. Il Grignolino, molti già ne sono al corrente, è uno dei vini tipici di quest’area, il Monferrato, terra di dolci colline che si estende nelle province di Asti e di Alessandria. Grignolino d’Asti e di Grignolino del Monferrato Casalese. Vitigno autoctono prende il suo nome dal termine dialettale dei vinaccioli: “Gragnola”. Un piccola quantità di vino viene anche prodotta in provincia di Cuneo: doveroso ricordarlo.
Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, all’inizio del 1900 contava un centinaio di cantine e, siccome allora la provincia di Asti non esisteva, era la più vitata d’Italia. Ugo mi accolse con la sua rinomata simpatia e, soprattutto, con l’amore che nutre verso il buon vino in questione: già in passato mi aveva invitato più volte alle degustazioni e agli abbinamenti con i piatti; il Grignolino è un rosso che sposa benissimo anche il pesce, meglio ancora se cucinato in umido. Dopo i saluti di rito e un buon caffè, partimmo verso la prima tappa. Vignale Monferrato, Regione Mondalino, sulla porta della cantina trovammo Mauro Gaudio ad attenderci. Mauro è figlio d’arte, già suo papà Amilcare, grande appassionato del Grignolino e studente della scuola enologica di Alba fu fautore e promotore di questo vino. Amava tenerne sempre qualche bottiglia in auto e ad agni buona occasione non tralasciava l’opportunità di aprirne una. Va ricordato che su questa terra per celebrare le feste non si tendeva ad aprire una bottiglia di Barbera, considerato un vino più popolare, ma di Grignolino, in quanto vino più aristocratico. I nobili del Monferrato lo reputavano più fine, più elegante, più delicato. Le famiglie nobili ma anche quelle importanti, pare che la famiglia Agnelli allora pasteggiasse a Grignolino. Mauro ha dunque portato avanti il lavoro del papà e, pur avendo avuto una formazione culturale di altro genere, ha assorbito la grande passione e il trasporto di Amilcare. In azienda produce vari vini di cui farò menzione e due tipologie di Grignolino Casalese Doc, un classico e un Crue. Si tende a pensare che sia un vino da bere giovane, ed è sicuramente un pensiero corretto, ma le potenzialità sono tali da investire, già dalla vigna, per un suo invecchiamento, ecco la motivazione di un Cure particolare. Mauro produce anche Barbera, Freisa, Malvasia di Casorzo come vini rossi, Cortese come bianco e un rosé a basa Barbera e Freisa in uguale misura.
L’occasione fu ghiotta per un assaggio doverosamente abbinato a vini e formaggi del territorio e in compagnia anche del collega giornalista e agronomo Maurizio Gily che ci raggiunse per l’occasione. Fu proprio Maurizio ad erudirmi sui terreni e le peculiarità del zona raccontandomi che le dolci colline del Grignolino sono quelle posizionate a nord del fiume Tanaro dove, le marne marine, di colore chiaro sono ricche di limo e argilla. Il grignolino è un vitigno esigente in fatto di territorio, di clima e di suolo, quindi offre il suo lato migliore solo in alcuni posti ben delimitati; quei territori che poi si ritrovano nel bicchiere, parlando di Grignolino Casalese per esempio, nella più marcata tendenza alla longevità, mentre per la Doc d’Asti, essendo sabbie astiane, terreni più sciolti, abbiamo vini più soavi da giovani ma meno longevi. La raccolta delle uve avviene generalmente una settimana prima rispetto a quelle di Barbera.
Seconda tappa: Serralunga di Crea, Tenuta Tenaglia, Sabine Ehrmann. Sabine è Monaco di Baviera e nella sua azienda ero stato anni fa accompagnato da Cinzia Tosetti e Carlo Ravanello, altri due carissimi colleghi giornalisti, e avevo avuto modo di incontrarla anche durante una edizione del Vinitaly di Verona. Fu il papà di Sabine ad innamorarsi del Monferrato al punto di optare per l’acquisto della tenuta che oggi lavora una trentina di ettari di vigna in parte dislocati nella provincia di Alessandria e in parte in quella di Asti. Da 15 anni la storica cantina, la parte più vecchia risale al 1600, è di proprietà degli Ehrmann che ne hanno fatto, oltre che a un pregiata realtà produttiva, un polo culturale di incontro tra artisti coniando lo slogan: “il Vino è Amore”. Con Sabine fu un dunque un simpatico rivedersi ancora e, oltre a chiacchierare di vino, non perdemmo l’occasione per parlare anche di specialità bavaresi che amo come il Weißwurst (salsiccia bianca) accompagnato da senape dolce, Brezel e birra di frumento (weißbier). Alla Tenuta si produce Grignolino, Barbera, Moscato, Chardonnay Piemonte, un blend di Timorasso e Chardonnay e un blend rosato di Barbera e Grignolino.
L’ora di pranzo non si fece attendere. Da una delle vigne di Sabine è sufficiente alzare gli occhi per vedere lo storico Santuario di Crea. Fu un attimo raggiungerlo. L’avevo visto tante volte, da bambino e da ragazzo, ma mai avevo pranzato al ristorante adiacente: il ristorante di Crea. Ugo aveva predisposto tuto alla grande anche perché i piatti della tradizione locale li sono all’ordine del giorno. Mi ricordo ancora oggi le tipicità come la carne cruda di fassone, il vitello tonnato, il flan di cardi, gli agnolotti alla monferrina, il fritto misto alla piemontese, e un coniglio al Grignolino preparato a dovere per l’occasione dallo chef Davide Caprino. L’autore non ci tiene dire le quantità delle portate, si limita a decantare l’alta qualità dei piatti. Il tutto venne abbondantemente annaffiato da Grignolino di varie aziende. Rammento anche una deliziosa sorpresa regalataci da un pasticcere artigiano locale che ci propose i suoi Krumiri al Grignolino. I Krumiri sono i biscotti tipici di Casale Monferrato e sono fatti, come forma, a memoria dei baffi a “manubrio” del Re Vittorio Emanuele II.
A fine pasto sulla piazza del santuario venne sistemato un tavolino dove potei accomodarmi in compagnia di Mario Ronco, un noto enologo piemontese, e capire ancora meglio il prodotto protagonista del mio viaggio monferrino. Iniziammo con il vitigno che possiede alle sue spalle una storia molto lunga, abbiamo scritti che ne parlano già nel 13esimo. A quei tempi i proprietari terrieri, la Chiesa, chiedevano espressamente che venissero piantate piante di tale vitigno. Un uva che in vigna spesso si comporta come un uva bianca, ha un colore particolare ed è difficile da lavorare, c’è voluta sicuramente testardaggine da parte dei contadini locali per continuare a crederci nei secoli. Richiede molte cure, cernite, diradamenti, terreni particolari per potere esprimere tutto il potenziale aromatico. Se ne produce un vino rosso di colore rubino non intenso con profumi e gusto propri, unici. Anche in cantina, come in vigna, da molto lavoro, è un vitigno con poco colore ma tanti tannini dovuto alla presenza di molti e grossi vinaccioli all’interno degli acini.
Lasciammo Serralunga a ci recammo ad Alfiano Natta per incontrare un’altra storia e altri vini. Se nella cantina precedente avevo ritrovato Sabina, una tedesca, in questo lembo di Monferrato trovai due giovani genovesi. Luigi Armanino, enologo, con sua moglie Eleonora, stavano e stanno di fatto condividendo la stessa passione per il vino e la campagna, una scelta di vita vera e propria, un’avventura affascinante. Volevano lasciare la città, fare un lavoro che desse soddisfazioni, motivo per cui si erano messi alla ricerca di una realtà del vino trovando ad Alfiano, su di una balconata naturale mozzafiato il loro punto di partenza. Luigi ed Eleonora producono un Grignolino sincero, tradizionale, con una macerazione medio lunga, senza particolari pratiche di cantina al fine di ingentilirlo, lo producono con uve provenienti da agricoltura biologica. Oggi ci sono loro ma l’azienda è nata negli anni 50 e a produrre vino c’era un tempo Carlo Quarello conosciuto da tutti in zona come: “il maestro del Grignolino”. Sul comprensorio territoriale è giusto ricordare che altri giovani hanno scelto di tornare alla terra e al mondo contadino, parecchi sono produttori di ottimi vini. Quel pomeriggio in azienda, sorseggiando i vini dei ragazzi, chiacchierai anche con Augusto Lana, Slow Food Monferrato, e mi piacque molto una sua osservazione che si trasformò in un buon consiglio, in quanto il nostro vino lo possiamo gustare bene d’inverno alla sua temperatura ma, al contempo, anche d’estate servito fresco. Avendo i giusti tannini, è ottimo per accompagnare quei piatti più grassi pulendo così in modo corretto il palato.
La bella giornata monferrina volgeva ormai al termine, Ugo era stato di parola e mi aveva, non solo fatto conoscere meglio un grande vino della sua terra, ma mi aveva fatto incontrare tante belle persone delle quali non posso che conservare un buon ricordo e sperare di ritrovarle presto. Passeggiando in vigna ricordammo due uomini del passato di quelle terre: Giovanni Lanza (Casale Monferrato, 15 febbraio 1810 – Roma, 9 marzo 1882) Presidente del Consiglio dei ministri dal 1869 al 1873 che, grazie ai migliori agronomi del tempo, gli Ottavi, diede e diedero vita alle cattedre ambulanti che andavano direttamente dai contadini ad insegnare la pratiche agronomiche; e Federico Martinotti, altro monferrino, inventore del famoso metodo classico per la spumantizzazione finalizzato poi da Charmat. Una grande giornata.