L’inaugurazione di un nuovo edificio, o la riqualifica di uno storico, costituisce sempre un momento importante nella storia di una città perché portatore di valori storici, artistici, culturali e di riconoscimento per un’intera città e per gli abitanti che ne fanno parte.
Ci risulta essere ancora più vero se si considerano la volumetria dell’ex-Palace, il ruolo che ha avuto nella vita cittadina con le sue tormentate vicende, ma anche la rappresentatività che esso avrà nell’immagine della Lugano dei prossimi decenni.
Questa inaugurazione anticipa infatti di pochi mesi l’apertura ufficiale dell’adiacente centro culturale LAC, insieme al quale propone una nuova visione non solo del lungolago ma dell’intera struttura urbana della città.
La piazza con i suoi edifici pubblici e privati diventa adesso una vera e propria porta d’ingresso al centro storico. Il dualismo del nuovo complesso, pur costituendo un insieme unico, si esprime nel LAC che crea un collegamento con la parte moderna della città affacciata sul golfo, mentre il Palace e la chiesa di S. Maria degli Angioli sono i primi edifici che introducono alla storica via Nassa.
Con la realizzazione della Residenza Palace oggi siamo di fronte ad una costruzione totalmente nuova che tuttavia rispetta il vincolo, confermato anche da una votazione popolare, rappresentato dal mantenimento delle facciate storiche (facciata est verso lago e facciata sud che si estendeva verso il parco preesistente). L’intervento inteso come restauro è dunque circoscritto alle sole facciate che rappresentano una vera e propria quinta teatrale attraverso la quale entra in scena l’architettura contemporanea.
Il riutilizzo delle facciate nel segno progettuale dell’intero complesso è stato dunque quello di far convivere due realtà temporali contrapposte e ben distinte. La ricerca di questo non facile equilibrio non ha compromesso in alcun modo la chiave di lettura delle singole stratificazioni dell’edificio e dell’intero complesso.
Al contrario, il progetto riafferma l’esperienza originaria ma alla luce della nuova architettura e dei nuovi materiali, a cominciare dall’utilizzo dei rivestimenti in metallo previsti per le facciate nord e ovest. Abbiamo volutamente scelto di rifuggire da ogni falsa emulazione dell’antico per aggiungere alla storia dell’edificio un nuovo capitolo dedicato alla contemporaneità.
Il complesso dell’ex-Palace ha conosciuto nel suo secolo e mezzo di vita vicende molto tormentate. Appena terminato è stato oggetto di continue, profonde trasformazioni tra cui quella del 1903 che ha comportato la distruzione di una parte consistente dell’antico convento e una drastica riduzione del chiostro e del suo porticato. Fu dunque in occasione di quei lavori che il complesso vide radicalmente modificarsi la sua struttura originaria.

Nel tempo, incendi, distruzioni, abbandoni, crolli, intemperie hanno contribuito a rendere l’interno di questo involucro un immenso ammasso di rovine. E quando il Municipio ha alienato questa sua proprietà, Sergio e Geo Mantegazza, Maria Luisa Garzoni e Mario Albek hanno assunto l’impegno di restituire a Lugano una porzione importante del tessuto cittadino.
Il mantenimento ed il conseguente recupero delle facciate ha comportato notevoli difficoltà statiche e di sicurezza per il consolidamento della struttura. Per il delicato restauro delle facciate sono state adottate tecniche non invasive per la rimozione delle tracce di inquinamento, mentre per l’aspetto dell’intonaco di facciata ci si è riferiti ai colori originari, ricostruiti attraverso una documentazione storica. Tutto questo attento lavoro si è compiuto sotto lo sguardo vigile dei quattro Omenoni che costituiscono un elemento importante nel sentito dei luganesi.
Compito progettuale è stato inoltre quello di relazionare la lunga facciata retrostante, espressione della nuova e contemporanea architettura, alla severità e alla serenità dell’antico chiostro. La corte ed il chiostro vivono ora di una nuova luce riflessa nella materialità del nuovo edificio che non contrasta, ma anzi lega i materiali presenti negli edifici adiacenti. Anche nel segno architettonico la bucatura delle facciate retrostanti riprende la verticalità che ritroviamo in quelle del convento, tuttavia rivisitate in modo contemporaneo.
Un altro importante episodio legato alla storia dell’ ex-Palace che qui voglio citare riguarda il fatto che verso la fine della Seconda Guerra mondiale esso ospit in gran segreto colloqui tra alti rappresentanti degli alleati e dei tedeschi, al fine di abbreviare il conflitto ed arrivare rapidamente ad un armistizio, evitando ulteriori distruzioni e perdite di vite umane. Per ricordare questi fatti, che confermano ancore una volta il ruolo storicamente svolto dalla Svizzera come “mediatore di pace” si è deciso di porre in facciata una targa commemorativa.
L’intero complesso, nella sua parte pubblica come in quella residenziale, si impone oggi per lo sforzo compiuto dagli architetti operanti su tutta l’area (LAC e Grand Palace), la cui collaborazione si è rivelata fonte di arricchimento progettuale ed espressione della volontà di raggiungere il miglior risultato nell’interesse dell’opera. In questo senso, sensibilità e professionalità hanno in ogni caso consentito di proporre soluzioni con linguaggi diversi ma tra loro armonizzati. Le differenze e le contrapposizioni del segno architettonico sono diventate fonte di originali letture.
Questa opera di non facile realizzazione è stata possibile grazie alla competenza del team tecnico di ingegneri e delle varie discipline, nonché delle imprese e delle maestranze che hanno partecipato alle diverse fasi dei lavori. A tutti l’architetto esprime il proprio ringraziamento.
Oggi i risultati sono sotto i nostri occhi. E tutti possono constatare – vorrei dire riconoscere – l’attenzione e il rispetto con cui, in ogni fase della costruzione della nuova Residenza Palace ci si è relazionati con l’adiacente edificio della Chiesa di S. Maria degli Angioli, al cui interno sono conservati quegli straordinari tesori d’arte che conosciamo e apprezziamo.
Nel nostro lavoro di costruttori di opere che vivono e si alimentano dello spirito della contemporaneità non abbiamo mai mancato di cercare di trarre ispirazione in quella vocazione al bello, al profondo, che rappresenta la più preziosa ricchezza umana e la più feconda e duratura sintesi tra ogni forma di modernità e tradizione.