Una testimonianza di tre ragazze ticinese che la scorsa estate si sono recate in Burundi, ve lo invio in questi giorni, ieri li, vicino sono state uccise tre suore.
Un’ estate un po’ differente al servizio dei bisognosi!
Il Ticino si fa vicino umanamente ai giovani Burundesi.
Quest’estate alcune ragazze ticinesi hanno deciso di partire, assieme ai coniugi Petraglio per un’esperienza unica, partecipare a dei campi di lavoro assieme ai giovani Burundesi, al Centre Jeunes Kamenge. Amici Ticino per il Burundi che dal 2007 sostiene il progetto ha voluto raccogliere la loro testimonianza.
Come mai ha deciso di partire per il Burundi? Cosa ti ha spinto?
Giada – Ho sempre voluto andare in Africa, ma non in vacanza o per turismo, ma per fare un’esperienza così e quando ho scoperto che anche altre mie amiche volevano, abbiamo deciso di andarci quest’estate. Però ci mancava il “dove andare” e la scelta è caduta sul Burundi grazie ai Petraglio e ad altri ticinesi già stati lì.
Dalila – Quest’anno volevo fare una vacanza diversa dal solito, era già da un po’ che pensavo di fare un’esperienza di volontariato all’estero e la mia scelta è caduta sul Burundi, in particolar modo dopo aver ascoltato le esperienze positive vissute la scorsa estate al CJK da un paio di amici.
Avevo il desiderio di vivere una nuova avventura , immersa in una realtà ed in una cultura completamente diversa dalla nostra … e sono felice di averlo realizzato!
Alice – Da tempo sia io sia Dalila Dedini avevamo voglia di partire per fare un periodo di volontariato in Africa, ma non sapevamo a chi o a quale associazione rivolgerci. Sapendo che altri ragazzi che frequentavano il liceo di Locarno (come noi) erano stati in Burundi, abbiamo chiesto a loro, che ci hanno indirizzato a Renzo e Maria Pia Petraglio, i quali ci hanno parlato in maniera entusiasmante del Burundi e in particolare del Centre Jeunes Kamenge, così non abbiamo avuto dubbi: si trattava del luogo in cui volevamo passare il nostro volontariato.
Quali erano le tue attese?
Giada – Quando sono partita non avevo delle vere e proprie aspettative. Ero pronta a fare i mattoni e a vivere in modo differente per tre settimane in Burundi.
Dalila – Prima di partire non avevo aspettative, ero pronta e aperta a vivere questa esperienza al meglio possibile, semplicemente mi sono lasciata sorprendere.
È difficile descrivere a parole un mondo completamente diverso dal nostro: il clima, il paesaggio, la gente e le usanze; sono convinta che esperienze di questo tipo bisogna sperimentarle a contatto con la realtà locale per poterle vivere pienamente e capire cosa sono in grado di regalarti.
Alice – Detto proprio sinceramente, sono partita senza crearmi delle grandi aspettative. Non mi sono posta degli obiettivi perché non conoscevo la realtà che mi aspettava, nel senso che non avevo mai fatto del volontariato prima, non ero mai partita per l’Africa (se non per una breve vacanza) e non ero mai stata in un centro per giovani. Per questo mi sono detta: “vedremo, mi lascierò sorprendere.” L’anno prossimo partirò sicuramente con uno spirito diverso proprio perché ho già potuto assaggiare quello che il Centro e il Burundi possono offrire.
Com’è stato il tuo primo impatto con il Burundi?
Giada – Appena scesa dall’aereo mi ha colpito vedere i militari armati in giro per la città e tutto il caos nelle strade ma dopo un po’ ci fai l’abitudine. Poi arrivate al centro tutti i ragazzi ci hanno tempestato di domande e così è stato per tre settimane.
Dalila – Son bastati pochi attimi per capire che in questo paese esiste un calore ed una cordialità incredibile, l’ Africa è una terra che ti conquista sin da subito con i suoi colori vivaci, gli odori intensi, i sorrisi sinceri, i balli e le musiche; se ti lasci incantare vivi appieno l’esperienza.
Al Centro siamo state accolte molto calorosamente e con entusiasmo, sentendoci subito parte di questa grande famiglia. La stessa curiosità che avevamo nei confronti dei ragazzi ci è rimbalzata addosso: hanno una sete incredibile di conoscenza e tanta voglia di scambiare le proprie opinioni. Sono ragazzi molto svegli ed interessati a ciò che li circonda, con un grande cuore e tanti sogni da realizzare.
Alice – Dei primi giorni al centro ricordo sicuramente tanta stanchezza, mista a gioia, stupore e affetto.
Dico stanchezza perché i ragazzi e i bambini con la loro infinita curiosità non ti danno mai un attimo di pace e ti succhiano un sacco di energie, soprattutto perché tendenzialmente vorresti sempre accontentarli. Ma d’altra parte l’incredibile sete di sapere e conoscere di questi ragazzi, il loro sorriso, la loro costante presenza attorno a te non possono che donarti tanta gioia e affetto.
Infine parlo di stupore perché quando ci si ritrova catapultati in una realtà completamente diversa bisogna lasciarsi sorprendere. Per esempio, quando cammini per le strade dei quartieri i bambini ti indicano urlando muzungu, che vuol dire bianco, oppure cantano tutti in coro: “muzungu bonbon, akuna bonbon” perché vorrebbero delle caramelle. Con il tempo ci si abitua, e si capisce che i bambini lo dicono con gioia e curiosità.
Cosa hai fatto in questi giorni in Burundi al CJK?
Giada – La nostra giornata tipica era così: sveglia alle 6.40 per essere pronti sulle nat alle 7. Dopo aver letto il pensiero del giorno e aver alzato la bandiera, accompagnata con una canzone, si faceva colazione. Poi si prendevano pale, carriole e secchi e si partiva al lavoro.
A mezzogiorno e mezza si torna al centro e dopo una doccia veniva servito il pranzo. Poi c’era la formazione e dopo i ragazzi tornavano a casa. Ma per noi questo non significava che la giornata era finita perché c’erano le partite dei mondiali da guardare sullo schermo gigante e anche lì si incontravano sempre ragazzi con cui parlare.
Ovviamente oltre a lavorare, alla domenica dopo la messa o al lunedì quando non c’era il campo si andava al lago o in giro per il paese.
Dalila – Il Centro ogni estate organizza dei campi di lavoro, della durata di due settimane l’uno, ai quali si possono iscrivere i giovani dai 16 ai 30 anni. Quest’anno il tema del campo era “La vie est belle” e ogni gruppo si chiamava “La vita è bella” in diverse lingue: noi eravamo “Life is beautiful”. Ogni mattino alle 7 ci trovavamo in uno dei cortili del centro, seduti con il rispettivo gruppo formando un cerchio, e ogni giorno qualcuno aveva il compito di innalzare la bandiera della pace che si trovava nel mezzo, mentre il resto dei partecipanti cantava in coro e a ciascuno veniva offerta una tazza di tè (molto speziata e buona!) con una michetta. Ci incamminavamo poi verso la parcella assegnataci nei rispettivi quartieri, muniti di carriole e bidoni. Le ragazze inizialmente si occupavano di cercare l’acqua, in canali o pozzi se non si aveva la fortuna di trovare un rubinetto nelle vicinanze. Nel frattempo i ragazzi erano dediti a lavori più duri quali preparare la terra. Per il resto della mattina ci dedicavamo a fabbricare mattoni grazie a delle apposite forme.
La fatica del lavoro passava in secondo piano grazie all’armonia e alla loro spontaneità: i ragazzi del gruppo si aiutavano fra di loro e durante le pause improvvisavano canti e balli molto simpatici e vivaci. I bimbi dei quartieri venivano sempre ad osservarci lavorare, guardandoci con curiosità, sorridendoci e prendendoci per mano.
All’ora di pranzo ritrovo col gruppo per mangiare assieme: un grande piatto di riso e fagioli (arricchito con avocadi, banane ed altri frutti aggiunti dai ragazzi) da condividere, dal quale ognuno si serviva liberamente. Il pomeriggio procedeva con diverse attività: programmi divertenti come teatri e balli, ma anche tematiche di sensibilizzazione come AIDS, prevenzione ad abusi e gravidanze indesiderate, scolarizzazione e altri temi di attualità. Siccome la maggior parte di queste discussioni si tenevano in swahili o kirundi, gli animatori si impegnavano a tradurci il tutto in francese!
Le attività finivano alle 16.30, dopodiché eravamo liberi di riposarci o restare a giocare e chiacchierare con i ragazzi e i membri del Centro.
Alice – È difficile riassumere queste tre settimane, perché sono state intense di attività ed emozioni. Per questo ho deciso di descrivere una giornata “tipo” durante i campi di lavoro e formazione. Per avere un’idea, in un’estate si svolgono 5 campi della durata di 12 giorni l’uno. Ad ogni campo partecipano circa 500 giovani dei quartieri nord di Bujumbura, che si dividono in 25 gruppi. Il tema dei campi quest’anno era: La vita è bella.
Al mattino alle 7.00 ci si ritrova con gli altri 500 ragazzi che partecipano al campo di lavoro. Ognuno si siede con il proprio gruppo su uno dei 25 tappetini di bamboo disposti a cerchio sul campo da tennis in cemento. Si canta una canzone (ogni giorno diversa) insieme, mentre un ragazzo/a alza la bandiera della pace che si trova al centro, e si mangia la colazione (pane e the) insieme. Poi ogni gruppo reupera gli utensili da lavoro (due carriole, pale, picconi, stampi per fare i mattoni, secchielli e bidoni) e parte per recarsi alla parcella. Con la terra burundese amalgamata all’acqua ogni gruppo costruisce dai 200 ai 500 mattoni al giorno, che servono per ricostruire le case che sono state distrutte durante la guerra. A mezzogiorno si rientra al centro e si fa la doccia. Alla una ogni ragazzo prende il suo piatto di riso e fagioli (con a giorni alterni una patata, un uovo, della carne, delle carote) e mangia con il proprio gruppo. Dopo pranzo, dalle 14.30 alle 16.30 si segue la formazione, che può essere sull’AIDS, sul codice stradale, sulle associazioni per i giovani, oppure si svolgono dei lavori a gruppi su diversi temi come l’ecologia, la vita è bella, …
Cosa rappresenta per te il CJK?
Giada – Un’oasi di pace e serenità nel caos di Bujumbura.
Dalila – Per me è il CJK si è rivelato essere una grande famiglia, una casa lontano da casa. Mi sono trovata molto bene, grazie a tutti i numerosi volontari che hanno dato il loro meglio per farci sentire a nostro agio. Per me rappresenta un luogo d’incontro, dove ho avuto la fortuna di conoscere persone molto aperte e gentili con le quali ho condiviso momenti speciali che porto nel cuore e dalle quali ho imparato molto.
Abbiamo instaurato fin da subito un bellissimo rapporto fatto da spontaneità, sincerità ed affetto che contraddistinguono la gente del posto.
Questa oasi di pace, di condivisione, in cui si “impara” davvero a vivere insieme agli altri indipendentemente dalle diversità culturali ed etniche, è un punto di riferimento e di appoggio per tutti i giovani, in un paese che si sta rialzando e ricostruendo dopo le tragedie della guerra.
Alice – Non ci sono parole più adeguate che possano descrivere un luogo come il Centre Jeunes Kamenge se non vita, speranza, pace, famiglia.
Il centro per me è vita, si sveglia alle 5.30 con gli operai che spaccano la legna così da poter scaldare i pentoloni in cui far bollire l’acqua per preparare il the per i partecipanti al campo e va a dormire anche oltre mezzanotte (quando ci sono dei concerti, durante i mondiali,…). Al centro, oltre ai ragazzi iscritti che hanno dai 16 ai 30 anni, ci sono i cuochi, le donne che preparano il pranzo, i bambini che al calar della sera si recano sul campo da calcio, i volontari indigeni, i volontari che vi trascorrono un’estate, gli operai, i coordinatori, … insomma un via vai di persone che con il loro passaggio lasciano la loro impronta al centro e se ne portano un pezzettino nel cuore.
Il centro è stato per me una grande famiglia che ci ha accolto con gioia e ci ha permesso di vivere con leggerezza, gioia e tranquillità quest’esperienza.
Com’é stata questa esperienza in Burundi a contatto con i giovani del CJK? Cosa ti ha dato? Come hai trovato i giovani Burundesi che partecipano al CJK?
Giada – Tutti i giovani sono felicissimi di poter andare al centro! Anche a fare i campi sono sempre in tantissimi, pur trattandosi di lavoro e non di svago. Tutto è differente da qui, lì tutti sono più aperti e non perdono un’occasione per parlare con te. Camminando per i quartieri i cori “muzungu vien ici!”o “muzungu ca va?” ricorrevano sempre urlati dagli adulti, ma soprattutto i “muzungu bonbon” urlati a squarciagola dai bambini…Così ci metti mezzora per fare 20 passi. Se durante il campo sparisci un attimo, per prenderti una piccola pausa dal continuo parlare in francese/kirundi/inglese/swahili, tutti quanti si accorgono e ti rimproverano!
Alice – È stata un’esperienza indimenticabile. Aver trascorso tre settimane in Burundi ha cambiato il mio sguardo. Tre settimane sono veramente poco tempo, diranno alcune persone, ma se le si vive immergendosi nella vita di tutti i giorni e essendo aperti a qualsiasi nuova esperienza, ti possono segnare in maniera indelebile. È come se mi sono riempita gli occhi della vita del posto, dei sorrisi della gente, delle canzoni dei bambini, dei rumori della strada, della musica dei quartieri, dei colori dei vestiti tipici, dei profumi del mercato e tutto questo miscuglio incredibile non mi lascia più vedere la mia vita come la guardavo prima di partire. La gioia dei ragazzi nel vivere insieme e poter condividere anche solo un cucchiaio di riso, la loro speranza in un futuro migliore, la loro voglia di ricominciare, la loro tenacia nel ricostruire le case, l’amore infinito per il loro paese e la fierezza di essere burundesi, la loro sete di conoscere, imparare, parlare con me mi hanno fatto riflettere, mi hanno insegnato molto e mi hanno lasciato una sensazione magica che si può provare soltanto vivendola.
Consiglieresti ad altri giovani di recarsi al CJK e vivere questa esperienza?
Giada – Si, perché a differenza di altri posti hai sempre a che fare con ragazzi più o meno della tua età e quindi di sicuro ti trovi degli amici!
Dalila – Si, lo consiglio vivamente a tutti! Si tratta comunque di una “vacanza”, nonostante si partecipa ai campi di lavoro, ma è del tutto diversa da qualsiasi vacanza avessi mai trascorso. Questa esperienza ha cambiato il mio modo di vedere le cose, mi ritengo una persona fortunata perché ho portato a casa con me un bagaglio di emozioni positive, una grande umanità, le immagini di un popolo ricco di sentimenti e la semplicità del vivere insieme come una grande famiglia, nella quale non ci si sente mai soli. Nonostante la povertà materiale nessuno si lamenta e nessuno perde mai l‘occasione di sorridere alla vita. La gioia e l’amore che ho accumulato in tre settimane mi accompagna tuttora, mentre a casa sono affetta dal famoso “Mal d’Africa”…
Alice – Consiglio a tutti i giovani che hanno voglia di viaggiare e fare nuovi incontri di andare al CJK perché non potranno che essere entusiasti di una simile esperienza. Io in primis spero con tutto il cuore di poter tornare al centro l’estate prossima.
Fonte foto: http://www.amtibu.org/