Più terra che neve; uno scenario che si ripete da molte stagione. Il turismo invernale va assolutamente reinventato.
Un direttore di una stazione invernale del Vallese si è lasciato scappare: ”Speriamo nel buon Dio”. Questa frase è emblematica e fa capire la situazione delle difficoltà che vivono le stazioni invernali che vanno per la maggiore. Rapportiamo al Ticino e i problemi sono ancora più acuti. Le nostre stazioni invernali sono quasi tutte sotto i 2000 msm e questo non garantisce più l’innevamento costante da dicembre a marzo. E’ un dato di fatto e intestardirsi oltre comporta unicamente una perdita di tempo e un ritardo nel trovare nuove soluzioni. Reinventare un turismo invernale alternativo comporterà grossi investimenti, ma a medio termine potrà dare dei grandi risultati turistici che si traducono in indotto economico il che significa economia al rialzo, posti di lavoro e benessere generale. Investire ora in tanti piccoli satelliti di impianti turistici è un dispendio di risorse economiche ingiustificato e che non offre alcuno sbocco alle varie regioni. Pensiamo alle nostre valli che hanno bisogno come il pane di economia trainante, di soluzioni vincenti per garantire quel tessuto sociale ed economico che vieppiù va perdendosi. Da troppi anni ci hanno mascherato di cifre e indotto senza la dovuta trasparenza, in quanto ogni investimento pubblico, anche a fondo perso, sono soldi del cittadino. E tutti noi vorremo rivedere le nostre stazioni invernali frequentate come un ventennio fa, ma per questo la neve non basta più, anzi puntare tutto e solo sulla neve diventa follia pura e perdita di velocità economica per quelle regioni che ne hanno maggior necessità. Le soluzioni vanno studiate, non troppi gruppi di studio teorici, ma pratici con persone che sul campo hanno operato e intendono investire per loro conto su un turismo futuro e vincente. Inutile prendere in giro se stessi, promettendo cosa puntualmente viene disatteso. Un anno ha 12 mesi e si deve garantire la multifunzionalità di queste stazioni per almeno 10 mesi. Vanno dunque reinventate con proposte gastronomiche, concertistiche, culturali e di benessere fisico come anche spirituale, rendendo attrattiva la montagna e tutto il suo insieme. Si parla da anni di destagionalizzazione, ma sembra che chi deve recepire tali concetti sia sordo e preferisca intestardirsi sullo sci, ben sapendo che questa tendenza sarà perdente a breve-medio termine. Bisogna una volta per tutte avviare il processo della città Ticino, dove per tutto l’anno vi sono offerte combinate città-montagna, complementari tra di loro e che portino vero benessere e ricchezza alle regioni limitrofe. Urge proprio che quella generazione, che ancora oggi gestisce le strutture invernali lascino il passo a menti fresche, aperte alle innovazioni. Questo non significa che si deve bandire lo sci, ci mancherebbe altro, ma si deve operare a comparti e sostenere lo sci dove l’innevamento naturale sia per lo più sempre garantito e predisporre le altre stazioni invernali a supporto di una rete globale dove il turismo in senso lato possa contribuire al benessere delle popolazioni locali. In parole povere stop ai sussidi a fondo perso, tanto per, stop a chi pensa che con il solo sci si risolve il turismo invernale e apriamoci a chi, innovativamente concepisce l’inverno come un terzo dell’anno su cui puntare alla globalizzazione dell’offerta. Di esempi vicino alla nostra realtà ve ne sono parecchi, basti pensare al Tamaro, tanto per citarne uno.
Offrendo tante attività collaterali, che diventeranno giocoforza prioritarie allo sci alpino, si può sperare in un futuro roseo. Ci vuole l’umiltà, la trasparenza e l’amore per le proprie regioni. Poi di certo lo Stato ben volentieri contribuirà a questo cambiamento epocale e vincente. Siamo veramente capaci, ed è la domanda a tutti i vari direttori e presidenti delle stazioni invernali, di cambiare ritmo, voltare pagina e assieme costruire il Ticino del futuro? Solo da qui riusciremo a venirne fuori vincenti!
ETC/rb