Concerne: considerazioni sul verbale della seduta commissionale del 21 novembre 2013 e dichiarazione di opposizione dell’ASLP-Ti alla proposta di introdurre l’istruzione religiosa interconfessionale obbligatoria nella scuola pubblica sotto le mentite spoglie del corso di “storia delle religioni” sperimentato in sei sedi-cavia nel periodo compreso tra il 2010 e il 2014
Egregio Presidente, Stimati Colleghi, Gentile Segretaria,
nella mia lettera del 22 novembre 2013 avevo tenuto a metter nero su bianco ciò che avevo affermato durante la seduta del giorno precedente circa il ruolo e la rappresentatività dei commissari, nonché sulla questione relativa all’incompatibilità costituzionale dell’obbligo di frequenza ad un’istruzione religiosa di orientamento teista.
Il verbale dà conto delle riserve da me avanzate circa l’opportunità di attribuire a tutti i commissari una medesima qualità, ma sorvola sulla seconda questione, limitandosi a riferire: “Bernasconi non condivide il rapporto del DFA. I richiami alle altre esperienze non hanno senso”. Ho dunque fatto bene a spiegarne le motivazioni per iscritto, a scanso di equivoci e a futura memoria.
Altre cose meritano un commento. Vediamole.
a. Qual è il ruolo del rappresentante della Chiesa Cattolica in seno alla Commissione?
Dal verbale rilevo che, prima di passare agli argomenti all’ordine del giorno, “il Presidente fa riferimento allo scritto inviato a suo tempo da Don Vitalini in merito alla continuazione dei lavori commissionali”. Come se nulla fosse successo, il collega Sandro Vitalini si è presentato alla seduta e nessuno ha avuto nulla da eccepire. La cosa è stata –come si suol dire in simili circostanze – “messa via senza prete”. Eppure, lupus in fabula, il prete non aveva annunciato il suo ritiro dalla commissione per un personale capriccio, ma certamente così aveva agito in qualità di delegato della Curia luganese. In tale veste egli aveva richiamato l’autorità cantonale all’impegno di “prevedere un corso di cultura religiosa generico per coloro che non frequentavano il corso di cultura cattolica o evangelica”. Quel richiamo era parso una vera e propria tirata d’orecchi dato che nel suo scritto diceva: “Il Dipartimento veda di assumere senza tergiversare le sue responsabilità, riconoscendo che il lavoro della Commissione ha perso il suo stesso oggetto per il quale era stata costituita”. Perché non sussistessero dubbi sul disgusto della Curia di Lugano per come si stavano mettendo le cose, il collega Vitalini aveva aggiunto una frase dal sapore vagamente minatorio: “Il Parlamento e il Popolo trarranno da questi fatti le loro conclusioni”.
Per far sì ch’egli tornasse a prender posto tra i commissari, qualcosa deve pur essere successo.
Dobbiamo forse credere che, nel frattempo, il Direttore del Dipartimento si sia impegnato a non rendere facoltativo il corso generico di “cultura religiosa”?
b. La “discussione” del rapporto finale del DFA si doveva ridurre nel prendere atto dei giudizi degli esperti stesi in un bignamino
Ad una Commissione destinata ad essere compiutamente e costantemente informata delle varie fasi della sperimentazione si è attribuito il ruolo della testimonianza acquiescente. Ed è stato in conformità a questa passiva funzione che ben sette dei commissari presenti in sala il 21 novembre scorso non hanno richiesto di leggere il rapporto nella sua interezza. Solo tre (Guerra, Jelassi e il sottoscritto) hanno esatto di conoscerlo. Rimane da capire perché il testo completo (che a quanto sembra è stato consegnato nel mese d’agosto al Presidente Erba) non sia stato trasmesso ai commissari.
c. La divisione fondamentale tra i commissari
Al momento di esprimere un auspicio sul quesito posto dai fautori dell’acculturazione religiosa (giudizio da ricavare dall’esito dell’introduzione sperimentale della cosiddetta “storia delle religioni”), i commissari sono stati invitati a vagliare le diverse soluzioni possibili, avendo la facoltà di pronunciarsi per più d’una. Confesso che, non essendo di riflessi molto rapidi, mi è sfuggito il diverso succedersi delle dichiarazioni di preferenza.
Ho solo tenuto conto con certezza delle due alternative per me praticabili:
la prima che contempla la ripresa in tutte le sedi del modello vigente (ora di religione di frequenza facoltativa), soluzione per la quale si è schierato anche il collega Guerra ;
la seconda che prevede l’introduzione della “storia delle religioni” in alternativa all’ora tradizionale, con facoltà di non frequentare né l’uno né l’altro corso, soluzione che ha trovato anche il consenso dei colleghi Guerra, Boneff e Jelassi.
Circa le altre combinazioni, ricordo che una ha ottenuto il consenso di sei commissari: mi sembrava (a differenza di ciò che si legge nel verbale) quella riferita all’introduzione della sola “storia delle religioni”, di frequenza obbligatoria, senza alternative. Pare invece che solo due, Celio e Tavarini, si siano pronunciati in tal senso.
La scelta obbligata tra l’ora di religione tradizionale in alternativa alla “storia delle religioni” ha ottenuto il consenso del solo Vitalini, stando a quanto ricordo.
L’inclusione nella griglia oraria del corso obbligatorio di “storia delle religioni”, unitamente all’ora di religione facoltativa, è stata appoggiata da sei commissari: De Picciotto, Jelassi, Zamboni, Bianchetti, Vanetta e Tavarini.
È possibile che i miei ricordi siano imprecisi e che lo sia anche il verbale. Non è da escludere infine che nella sovrapposizione delle alternative qualcuno si sia confuso.
In conclusione, come ha rilevato il presidente, solo due commissari hanno formulato giudizi negativi sulla sperimentazione: Michele Guerra e il sottoscritto. Gli stessi due commissari (unitamente a Boneff e Jelassi) hanno proposto il mantenimento dell’ora catechistica facoltativa, ammettendo l’eventuale adozione della “storia delle religioni” in alternativa all’ora catechistica, a condizione che entrambi i corsi siano considerati opzionali.
L’inclusione di Guerra tra i fautori della scelta obbligata tra “storia delle religioni” e istruzione religiosa cattolica o evangelica è dunque forse dovuta ad un equivoco.
Non posso esimermi dal rilevare nuovamente, come già avevo fatto in corso di seduta, che, pur conservando facoltà di esprimersi sull’operazione di cui erano stati protagonisti, Tavarini e Vanetta avrebbero dovuto evitare di partecipare alla consultazione finale, nel corso della quale i rappresentanti dei partiti politici e quelli delle organizzazioni religiose o filosofiche si sono fatti portavoce delle rispettive organizzazioni d’appartenenza.
Il voler essere giudici in causa propria, ancorché comprensibile, non è stata un’attitudine elegante!
L A P O S I Z I O N E D E L L’ ASLP-TI
Premessa
L’Associazione Svizzera dei Liberi Pensatori, sezione Ticino (ASLP-Ti), ha designato un suo rappresentante nella commissione incaricata di accompagnare l’introduzione del corso di “storia delle religioni”, a titolo sperimentale in sei sedi di scuola media.
L’ASLP-Ti ha seguito passo passo l’andamento della sperimentazione: per il 2011 la questione è stata oggetto, in data 2 gennaio 2011, di una circolare di Giovanni Barella ai membri del comitato, nonché di comunicazioni inviate periodicamente dal commissario delegato (il 13 febbraio, il 24 marzo, il 16 maggio, il 6 e il 12 ottobre 2011, il 25 febbraio 2013).
Se ne è discusso altresì in modo approfondito in diverse riunioni del comitato allargato (il 30 marzo, il 19 maggio, il 23 agosto, il 10 novembre 2011) e nel corso di alcune assemblee (il 26 novembre 2011, il 5 maggio 2012 e il 12 ottobre 2013).
Inoltre tutti gli scritti redatti dal delegato in relazione alla sperimentazione (ventotto documenti di varia lunghezza, a contare dal 27 gennaio 2011) sono stati inviati in copia al presidente e al segretario dell’ASLP-Ti perché fossero esaminati anche dal comitato.
Nel merito
La questione dell’ora di religione nella scuola pubblica non era cosa nuova per i liberi pensatori. Tant’è che, per quel che riguarda un tentativo di istituire un corso di cultura religiosa “parallelo” all’ora di religione o eventualmente sostitutivo della stessa, l’Associazione si era a suo tempo (nel lontano 1986) decisamente opposta a una simile eventualità.
Allorché, nel 1990, venne votata in Gran Consiglio la nuova legge scolastica, i liberi pensatori accolsero favorevolmente la decisione di rendere esplicitamente facoltativa e soggetta a libera opzione l’istruzione confessionale, dalla quale in precedenza gli alunni potevano essere “dispensati” solo facendone richiesta.
All’epoca alcuni laicisti rigorosi manifestarono la propria insoddisfazione poiché, a loro giudizio, la propaganda di fede non doveva assolutamente trovar posto tra le materie d’insegnamento. Se si vogliono evitare situazioni inutilmente conflittuali, non si può tuttavia misconoscere che, per molte persone, una formazione religiosa risponde ad una esigenza da loro fortemente sentita, ancorché si configuri come assunzione di verità dogmatiche e di norme morali dedotte da una “rivelazione divina”.
Per coloro che non si riconoscono nella religiosità organizzata è comunque sufficiente la garanzia che nessuno sia coinvolto contro la sua volontà in pratiche catechistiche di qualsiasi natura e forma.
E questa è stata e rimane l’attitudine assunta dall’ASLP-Ti circa l’istruzione religiosa.
Va considerato che nel Canton Ticino le organizzazioni religiose numericamente più consistenti hanno conosciuto una significativa diminuzione dei propri affiliati, come ha provato lo studio che il Dipartimento delle istituzioni aveva commissionato alla signora Michela Trisconi-De Bernardi dopo il censimento del 2000. Da quell’analisi comparativa risultava che i cattolici erano passati dall’89,75 % del 1970, all’87,12 % del 1980, all’83,51 % del 1990, al 75,94 % del 2000. Stando ai dati del 2010 ora sono al 69,05 %.
Dal canto loro gli evangelici riformati hanno registrato un’evoluzione quantitativa analoga, passando dal 7,35 % del 1970, al 7,49 % del 1980, al 6,96 % del 1990, al 5,77 % del 2000. Nel 2010 rappresentano il 4,48 %.
Per contro il numero di coloro che dichiaravano la propria estraneità a qualsiasi organizzazione confessionale è aumentato in misura molto considerevole passando da un modesto 1,25 % del 1970,
al 2,71 % del 1980, al 5,26 % del 1990, al 7,50 % del 2000. Nel 2010 gli areligiosi hanno una proporzione corrispondente al 15,90 %.
I dati confermano comunque che l’insieme dei credenti rimane tuttora quantitativamente importante.
Se non altro, la sperimentazione ha consentito di rilevare, nelle tre sedi-cavia ove è offerto il “modello misto”, che numerosi alunni (poco importa se per volontà propria o dei genitori) scelgono di frequentare l’ora di istruzione religiosa cattolica o evangelica pur essendo loro proposta in alternativa una materia equivalente, in apparenza meno “dottrinaria”.
E ciò prova, al di là di ogni dubbio, che l’attaccamento della gente all’ora di religione tradizionale è ancora largamente diffuso.
Paradossalmente, considerando ciò che si verifica nelle medie di Biasca, Minusio e Lugano Besso, non sarebbe azzardato supporre che, mentre la frequenza dell’ora di religione tradizionale risponde certamente ad una scelta, la lezione di “storia delle religioni” vien probabilmente subíta come un’offerta… irrecusabile.
Da parte dei liberi pensatori la sperimentazione è stata oggetto di critiche circostanziate: per la sua origine equivoca e le sue finalità pretestuose, per come è stata concepita e imposta, per come è stata programmata e attuata.
Anzitutto essa è nata con il peccato originale di un ibrido connubio tra Stato e Chiesa: in effetti, di comune accordo, ne hanno concepito contenuti e modalità i vertici del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport e della Curia vescovile ticinese, coadiuvati da un rappresentante della Federazione delle Chiese evangeliche.
Tant’è che tutta l’operazione è stata organizzata e programmata dai funzionari del DECS e dai rappresentanti delle Chiese cristiane riconosciute, con l’ausilio di alcuni “esperti”.
Per altro, l’ASLP-Ti, ha sin dall’inizio denunciato l’uso strumentale della “Commissione-sperimentazione” (quella istituita l’11 gennaio 2011), la cui funzione puramente testimoniale è apparsa subito pleonastica. Non è sfuggito a nessuno che l’inclusione di commissari politicamente etichettati, accanto a rappresentanti di comunità religiose non cristiane, nonché degli areligiosi, mirava a coinvolgere in una passiva assistenza le parti fino ad allora non rappresentate. Forse speculando sul fatto che il loro silenzio passasse per assenso.
Vero è che ai membri di questa commissione sarebbe spettato quale contentino il compito di esprimere un parere sui giudizi degli “esperti” designati dal DECS. “Esperti” scelti nell’ambito del Dipartimento della formazione e dell’apprendimento della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
Per tutto lo svolgimento della sperimentazione i commissari non hanno avuto alcuna voce in capitolo, finché i promotori della “storia delle religioni” non hanno pensato che fosse venuto il momento di coinvolgerli in un “voto” a favore della sua prosecuzione, ben oltre il termine stabilito nella risoluzione governativa del 14 maggio 2010.
Per quanto attiene ai contenuti della “nuova” materia, alla quale si pretende attribuire un taglio conoscitivo, va detto che essa ha di fatto natura prevalentemente apologetica, occupandosi dell’origine delle diverse religioni e comparandone le presunte rivelazioni divine riferite dalle “sacre scritture” sottoposte a esegesi teologica.
In questo studio vien per contro trattato come insignificante il riflesso nefasto del fideismo organizzato negli eventi storici: come se i buoni propositi rimasti a livello di auspicio compensassero i misfatti praticati dai fideisti alla maggior gloria delle rispettive divinità. Per di più, cammin facendo, gli operatori della sperimentazione hanno ipotizzato una correzione di rotta, per il conseguimento di un obiettivo più ambizioso: quello di ricavare dall’istruzione religiosa le linee direttrici di una condotta conforme ai doveri sociali.
Ad un’informazione asettica (si fa per dire) sulle diverse teologie, si è abbinato il compendio delle norme comportamentali dettate dal dio di turno per bocca dei “profeti”: come se morale ed etica non potessero prescindere da una concezione religiosa della vita.
In sintesi
L’ASLP-Ti è contraria all’imposizione generalizzata di un’acculturazione religiosa per ragioni di principio, poiché trova ipocrita e fuorviante l’argomentazione secondo cui la storia delle religioni (ovvero della nascita delle diverse teologie, segnatamente quelle fondate su una presunta rivelazione divina) sia complemento indispensabile per comprendere l’influenza nefasta che la faziosità fideista ha avuto nel corso della storia. Di fatto, così com’è motivata e proposta, la presentazione delle credenze religiose, sorretta dall’esegesi (talora sballata!) delle cosiddette “sacre scritture”, si configura piuttosto come illustrazione agiografica e celebrativa del sentimento religioso, traducendosi in una propaganda subliminale, ancorché pluralista, della religiosità.
In questo ordine di idee, l’obbligo di frequenza di un corso così concepito contravviene al disposto costituzionale che garantisce il rispetto della libertà di coscienza e di opinione.
L’ASLP-Ti respinge altresì decisamente l’idea secondo cui solo l’acculturazione religiosa (ovvero, la “conoscenza dei rudimenti del cristianesimo”), a causa del suo indissolubile legame con la tradizione, consenta l’acquisizione delle “nostre” (ticinesi? elvetiche? europee? occidentali? cristiane?) peculiarità identitarie e contribuisca alla formazione morale e civica degli uomini che costituiranno la società di domani.
Per i liberi pensatori, l’identità di ciascuno non va derivata dall’appartenenza ad un congiunto sociale accomunato da circostanze puramente anagrafiche, bensì dalle opzioni individuali circa il senso dell’esistenza e l’indirizzo da dare alla propria vita.
L’ASLP-Ti nega che l’imposizione di confrontare le proprie verità di fede con quelle di coloro che hanno altre verità possa indurre automaticamente i credenti dei diversi fronti confessionali alla reciproca tolleranza.
La cosa è forse possibile ma altamente improbabile, se si considera ciò che ripetutamente è avvenuto nel corso dei secoli, non appena si sono abbozzati dei tentativi di dialogo interreligioso. E in questo confronto, a maggior ragione, non ha alcun senso coinvolgere le persone che non sono affette da fideismo missionario.
L’ASLP-Ti contesta la tesi secondo cui nelle scuole di tutto l’Occidente cristiano si dovrebbe rendere obbligatoria l’assistenza alla diffusione del “pensiero religioso”, praticata nell’ambito dell’ecumenica offensiva rievangelizzatrice promossa dai vertici clericali.
Nella storia dell’umanità hanno avuto spazio, con tragiche conseguenze, le ideologie secondo cui la società debba essere edificata all’insegna di un conformismo totalitario, nell’ambito del quale qualsiasi espressione di alterità appare come asociale, se non antisociale. In quest’attitudine assolutista si sono distinte le organizzazioni religiose, tant’è che la scomunica dal gregge dei fedeli si traduceva ancora fino al secolo scorso nell’emarginazione se non nell’esclusione dalla vita civile degli anticonformisti.
I liberi pensatori, soprattutto per quel che attiene alle scelte etiche e filosofiche, propugnano il diritto di obiettare e dissentire, tanto individualmente che collettivamente.
L’ASLP-Ti denuncia come incongruente, mistificatoria e ipocrita l’affermazione di coloro che qualificano come neutrale l’istruzione religiosa, ovvero l’orientamento ad una mentalità di fede, soltanto perché agli alunni, invece di una proposta monoconfessionale, vengono illustrate le offerte di diversi “credi”. È certamente scorretto sottintendere l’esistenza di una sola divinità alla quale dovrebbero far riferimento tutti gli esseri umani, inclusi i miscredenti. Per i liberi pensatori sono poco credibili coloro che si proclamano “laici” (ancorché su questo termine spesso si possa equivocare) e assicurano la loro neutralità confessionale, quando non sanno scindere dal personale orientamento fideistico l’impegno nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche, delle loro cariche politiche, delle loro attività professionali.
In conclusione per le ragioni sopraelencate l’ASLP-Ti si oppone non tanto all’introduzione della cosiddetta “storia delle religioni” nella griglia oraria del secondo biennio delle scuole medie, quanto all’obbligo di frequenza esteso a tutti gli alunni. L’ASLP-Ti si riserva di agire di conseguenza, nella denegata ipotesi che il parlamento cantonale si pronunci a favore dell’adozione della suppostamente “nuova materia di studio”, negando agli alunni la facoltà di optare per l’astensione.
Questo ero tenuto a comunicare ai colleghi commissari e all’attenzione del Consiglio di Stato, cui va copia di questa lettera, per il tramite del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.
Distinti saluti.
Guido Bernasconi