Tre anni sono trascorsi da quando, il 22 settembre 2013, quasi 63’000 ticinesi (pari al 65,4% dei votanti) votarono a favore dell’iniziativa federale antiburqa che era stata lanciata il 25 marzo del 2011 raccogliendo ben 11’767 firme valide.
Nei due anni e mezzo intercorsi fra la raccolta delle firme e la votazione popolare il quotidiano La Regione e il settimanale Il Caffè si distinsero per la sistematica censura praticata verso l’iniziativa e gli iniziativisti, venendo così meno al dovere di informazione della stampa in un Paese democratico, che è la ragione principale per la quale la Confederazione – anche nell’ottica di garantire la pluralità dell’informazione – spende milioni per sussidiare i costi di spedizione dei giornali.
Calpestate le regole del buon giornalismo
Personalmente, come ex-giornalista, posso capire che un giornale abbia una posizione contraria a una determinata iniziativa popolare. E quindi in tal caso è libero di dirne peste e corna, di intervistare politici ed esperti che pure sono sulla sua stessa linea. Ma però se la sua redazione ha un minimo di professionalità e di rispetto verso i propri lettori non può e non deve ignorare di esporre le ragioni degli iniziativisti, dando spazio pure ai loro comunicati e dando loro la possibilità di replicare . E’ solo in questo modo che i lettori e gli elettori possono formarsi liberamente una propria opinione senza troppe manipolazioni da parte dei giornalisti.
Pensavo e speravo che almeno dopo il chiarissimo risultato della votazione del 22 settembre 2013 questi due giornali avrebbero recitato il mea culpa e dato più spazio ai vincitori . Invece no. Probabilmente ne hanno fatta una questione personale, perché si sono guardati bene dal riconoscer loro qualche merito o dal dedicare un’intervista, almeno a posteriori, all’ideatore e promotore principale dell’iniziativa che ha lasciato la sua impronta nella Costituzione del Canton Ticino e che ha fatto da apripista a livello nazionale. E non lo dico perché quel tizio sono io e perché sono in cerca di pubblicità, ma perché mi era stato insegnato che per far bene il mestiere del giornalista così si sarebbe dovuto fare.
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