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Care amiche, cari amici, buona domenica!
Il sole oggi sembra un po’ indeciso, ma il tempo ci invoglia sicuramente a fare una bella passeggiata. E non a caso sono iniziate in tutto il Cantone le manifestazioni all’aria aperta come la Walking nel Mendrisiotto o la corsa podistica a Stabio.
E mentre stiamo per inviare questa newsletter leggiamo che in questi minuti in Finlandia è stato acceso il più grande reattore nucleare d’Europa, proprio mentre la Germania dice addio definitivamente (o forse) a questa fonte energetica chiudendo le ultime tre centrali attive nel paese. Attenzione però a non dimenticare che i tedeschi producono ancora un terzo dell’elettricità con il carbone (addirittura in aumento nell’ultimo anno).
Sintesi della settimana ed evoluzione
La nostra informazione domenicale dell’Economia con Amalia inizia con uno sguardo alla situazione internazionale. Sul fronte dell’andamento dei prezzi i dati confermano un certo rallentamento dell’inflazione. Tra tutti spicca la situazione degli Stati Uniti che nel mese di marzo ha registrato un aumento mensile dello 0.1% e annuale del 5%. Certo siamo ben lontani da quel famoso 2% che indica la stabilità dei prezzi, ma non possiamo dimenticare che già rispetto al mese precedente, quando l’indice dei prezzi al consumo segnava +6%, la situazione è decisamente migliorata; per non parlare del picco del +9.1% raggiunto nel giugno del 2022. E le buone notizie continuano se guardiamo ai prezzi alla produzione, che ricordiamo sono i prezzi dei beni quando escono dalla “fabbrica” e a cui andranno aggiunti i costi di trasporto, logistica,… per arrivare ai prezzi di vendita. Evidentemente se già il prezzo di un bene aumenta nella fase produttiva, non possiamo attenderci che il suo prezzo finale di vendita diminuisca. In questo caso i prezzi alla produzione, sempre negli Stati Uniti, sono scesi nel mese di febbraio dello -0.5% su base mensile e aumentati “solo” del 2.7% su base annuale (sembra ancora tanto, ma va paragonato con l’aumento del mese precedente che era stato del 4.9%). Anche in Cina, ricordiamo che è il nostro maggior produttore e fornitore di beni, i prezzi alla produzione sono diminuiti del 2.5%. Se questa tendenza dovesse essere confermata potremmo cominciare a tirare un sospiro di sollievo.
Sospiro di sollievo che però non sembra bastare al Fondo Monetario Internazionale (FMI) che la settimana scorsa ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita per l’anno 2023. L’istituto ritiene che la maggior parte delle economie avanzate riuscirà ad evitare la recessione, ma nel contempo ha abbassato le stime della crescita mondiale rispetto a quanto previsto nel mese di gennaio: ora si prevede per il 2023 un aumento del 2.8% e per il 2024 del 3%. Non tutte le nazioni viaggiano alla stessa velocità e nella stessa direzione. Per esempio, gli Stati Uniti dovrebbero crescere dell’1.6% mostrando un miglioramento di +0.2% rispetto all’ultima previsione. Nonostante questo miglioramento però prendiamo atto della riduzione rispetto al 2022 quando il Prodotto Interno Lordo (PIL) statunitense è cresciuto del 2.1%. Tale riduzione potrebbe dipendere sia dall’aumento dell’inflazione che dalla sua cura, ossia l’aumento dei tassi di interesse. Una crescita decisamente più modesta è prevista per i paesi della zona euro che dovrebbero vedere il loro benessere aumentare “solo“ dello 0.8%. All’interno di questa area salta subito all’occhio la previsione negativa (-0.1%) della Germania. Ricordiamo che l’economia tedesca è la locomotiva europea sia in termini di produzione che di consumi. Meglio andrebbero Francia e Italia (+0.7%) e anche la Spagna (+1.5%). La Svizzera, sempre secondo il FMI, dovrebbe vedere il suo PIL crescere “solo” dello 0.8%. Ricordiamo che l’importanza della crescita del prodotto interno lordo è data dalla necessità di compensare l’aumento delle persone nel mondo del lavoro e l’aumento della produttività derivante dalla tecnologia. In parole molto semplici, se vogliamo che tutti abbiano un lavoro, il prodotto interno lordo deve crescere.
E a proposito di lavoro segnaliamo i dati appena pubblicati da Eurostat (che è l’ufficio statistico dell’Unione Europea) in relazione al costo medio orario del lavoro nelle diverse nazioni dell’Unione Europea (UE). Questa statistica tiene conto principalmente di due fattori: i salari e i costi non salariali. I costi non salariali sono per esempio i contributi sociali oppure le spese di formazione professionale che pagano i datori di lavoro. Pur ritenendo il fatto che nei paesi in cui non è adottato l’euro il dato dipende dal tasso di cambio, salta subito all’occhio la differenza enorme tra le nazioni. I paesi del Nord hanno un costo orario maggiore rispetto ai paesi del sud Europa e dell’est. Nel 2022 il costo medio orario del lavoro in Bulgaria era di 8.2 € (8.10 CHF), in Romania di 9.5 € (9.40 CHF) mentre nel Lussemburgo di 50.7 € (50.30 CHF). In Italia, nazione a noi vicina e in competizione per quanto concerne il mercato del lavoro, il costo medio orario è di 29.4 € (29.20 CHF). Certo tutto questo va rapportato con il costo della vita in un paese, ma è innegabile che le differenze rimangono veramente enormi per paesi che appartengono alla stessa unione economica e politica. Interessanti sono anche le differenze nei settori. Il costo orario più alto è nel settore industriale (36.6 € per ora) mentre il più basso è nel settore delle costruzioni (30.8 € per ora); i servizi registrano un costo orario di 33.3 € all’ora. Guardando invece al peso dei costi non salariali emerge che le nazioni con la quota più alta sono Francia (32%), Svezia (31,9%) e Italia (27.8%). Al contrario le quote più basse sono state registrate in Lituania (5.4%) e Romania (5.3%). Queste differenze sono principalmente dovute ai diversi sistemi di previdenza professionale, che in alcuni casi sono quasi inesistenti. Infine, da questa statistica emerge che nel 2022 in tutti gli Stati membri il costo del lavoro è aumentato (+5% nell’UE e +4.7% nell’area euro). I maggiori incrementi sono stati registrati in Bulgaria (+15.3%), Ungheria (+13.9%), Romania (+12.2%) e Polonia (+11.7%). Ricordiamo sempre che però queste sono le nazioni con i costi del lavoro più bassi. E la Svizzera? Non fa parte dell’Unione Europea per cui non troviamo qui i suoi dati. Quelli pubblicati qualche giorno fa dal nostro ufficio federale di statistica si riferiscono solo al 2020 e indicano un costo del lavoro medio orario di 63,62 CHF. Di questi quasi l’80% è composto da salari e stipendi, il 17.4% da contributi sociali a carico dei datori di lavoro e circa il 3% da spese di formazione professionale e assunzione. Data la forte relazione tra costi del lavoro e salari si comprende subito come la libera circolazione delle persone in realtà si sia tramutata in un mercato della manodopera.
E infine questa settimana sul nostro sito di economia abbiamo riportato l’intervista fatta da Paolo Contangelo per Tio, che ringraziamo, in cui abbiamo parlato del tema dell’indebitamento delle famiglie ticinesi in relazione ai bassi salari del nostro nel nostro Cantone.
Trovate qui gli articoli della settimana
L’indebitamento record delle famiglie: “Confermate le difficoltà finanziarie dei ticinesi”
Se vi siete persi gli articoli delle scorse settimane, eccoli:
L’inflazione rallenta
UBS-CS: Non c’era più tempo ma è stato un duro colpo
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8 marzo: perché
Svizzera, le cose sono andate bene, ma non benissimo
120 secondi
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L’Economario – il vocabolario di economia
Vi ricordiamo che il nostro vocabolario di economia vi spiega in parole molto semplici, temi apparentemente complessi e soprattutto perché sono importanti nella nostra vita di tutti i giorni. Inflazione, PIL, consumi, commercio estero, disoccupazione: temi in apparenza complessi che vengono spiegati con parole semplici.
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L’inflazione rallenta
UBS-CS: Non c’era più tempo ma è stato un duro colpo
8 marzo: perché
Svizzera, le cose sono andate bene, ma non benissimo
Le previsioni per il Ticino
Credit Suisse perde, UBS vince
In attesa di quello che ci riserverà l’economia la prossima settimana, vi auguro una splendida domenica!
Un caro abbraccio,
Amalia Mirante
L’economia con Amalia by Amalia1978