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Care amiche, cari amici, buona domenica!
Oggi sembra proprio l’anticipazione della primavera: quindi niente divano, ma splendide passeggiate! Sempre oggi ricorre la giornata del malato: a tutte le persone che non stanno bene e ai loro famigliari vada il nostro più grande sostegno. Anche dal punto di vista delle politiche economiche molto può essere fatto per alleviare almeno il peso finanziario dei costi sanitari. Speriamo che prima o poi qualcuno affronti la questione seriamente.
Sintesi della settimana ed evoluzione
La nostra informazione domenicale dell’Economia con Amalia, inizia con uno sguardo alla situazione internazionale e in particolare all’andamento dei prezzi. Le prime previsioni sull’andamento dell’inflazione in febbraio nelle nazioni europee mostrano una certa stabilità per la zona Euro che segna su base annuale un aumento dell’8.5%. Nel mese di gennaio il tasso era dell’8.6%. La stessa stabilità si registra in Germania (+8.7%). Ancora in leggero aumento invece i prezzi in Spagna (6.1%) e in Francia (6.2%): in entrambi i casi l’aumento è di 0.2 punti percentuali. Ed è proprio in Francia che il ministro dell’economia Bruno Le Marie ha annunciato che da qualche giorno si sta lavorando per cercare un meccanismo che consenta di contrastare l’aumento vertiginoso dei prezzi dei generi alimentari. In questo caso si parla di un incremento di oltre il 14%. Una situazione simile si sta vivendo in Italia dove, nonostante si sia verificata una riduzione del tasso annuale di inflazione dal 10% al 9.2%, il prezzo degli alimentari continua a crescere superando il 13% (il mese precedente gli aumenti erano del 12%). Zucchero, olio di semi, riso, ma anche latte, burro, margarina, formaggi, pane, uova: nessun alimento sembra salvarsi. Come se non bastasse Coldiretti, che è la più importante organizzazione agricola italiana, stima che il 34% delle aziende agricole sta lavorando registrando perdite importanti cosa che porterebbe, secondo l’Ente italiano di ricerca agroalimentare CREA il 13% di aziende al reale rischio di chiusura della loro attività produttiva. E da queste considerazioni partono le nuove richieste di maggiori investimenti pubblici nella filiera agroalimentare, soprattutto all’indirizzo dell’Unione Europea.
Unione Europea che proprio in questi giorni ha fatto un parziale passo indietro nei confronti dell’abolizione della vendita di motori diesel e benzina a partire al 2035. Quello che sembrava oramai un traguardo raggiunto, visto il voto favorevole del Parlamento europeo di qualche mese fa, si arresta. Oltre ai dubbi già sollevati da Polonia e Bulgaria si sono aggiunti quelli di Italia e Germania. Due nazioni di certo non di poco peso nel processo decisionale europeo. In effetti, affinché la decisione potesse essere approvata era necessario il consenso di almeno 15 paesi dell’Unione Europea e del 65% dei suoi cittadini: dati questi non raggiungibili senza il consenso dei 4 paesi dubbiosi. La posizione dell’Italia è apparsa molto chiara e condivisibile agli occhi anche dei tedeschi: non viene messo in dubbio l’obiettivo del raggiungimento delle zero emissioni di CO2 nel minor lasso di tempo possibile, ma ciò che si contesta è la scelta di attuarlo esclusivamente attraverso automobili elettriche scartando a priori la possibilità di raggiungerlo anche utilizzando altre tecnologie come i carburanti puliti e rinnovabili e l’idrogeno. Insomma, pare che una decisione un po’ affrettata di qualche mese fa, venga oggi rivista soprattutto alla luce della minaccia odierna della perdita di potere di mercato delle aziende automobilistiche europee accompagnata da una perdita di occupazione e di benessere in generale. In effetti, non sono pochi gli interessi in gioco in questo settore.
Anche in questo caso purtroppo l’Europa sembra non riuscire a ritagliarsi il suo spazio e peso economico. Qualche mese fa gli Stati Uniti in barba alla tanto declamata libertà commerciale che porterebbe grandi benefici a tutti avevano stanziato un pacchetto di incentivi (Inflation Reduction Act) come aiuti per la produzione di automobili elettriche e sue componenti a patto che le stesse avessero un legame con gli Stati Uniti. In particolare si parla di un credito di imposta di 7’500 dollari per ogni auto elettrica venduta (ca. 7’000 franchi). Evidentemente questo risulta sconveniente per tutti i produttori al di fuori degli USA e in primis per il settore produttivo europeo che subirebbe una sorta di concorrenza sleale. Purtroppo ancora una volta l’intervento dell’Unione Europea non è apparso così deciso e così utile al settore. Ciò che sta accadendo quindi è che l’Unione Europea sembra nuovamente messa alle strette dai due giganti che la circondano: Stati Uniti da una parte e Cina dall’altra. Cina che non dimentichiamolo insieme ad altre due o tre nazioni asiatiche produce oltre il 90% delle batterie a litio necessarie per le automobili elettriche. E le cose non vanno meglio sul fronte delle materie prime necessarie per la produzione delle batterie che sono in mano principalmente all’America Latina, alla Repubblica Democratica del Congo, al Cile e all’Indonesia. Paesi questi che vantano relazioni commerciali migliori con la Cina rispetto a quelle con Europa e Stati Uniti. Non a caso anche la leadership di Tesla viene oggi messa in discussione proprio dalle produzioni cinesi con in prima fila l’azienda Byd di cui abbiamo parlato già qualche mese fa e che attualmente ha superato per volume le vendite globali dell’azienda di Elon Musk. Tesla che tra l’altro ha annunciato di rivedere i suoi piani di investimento in impianti produttivi in Germania a favore di un rientro economicamente vantaggioso negli Stati Uniti. Cosa che sembrerebbero pronte a fare anche altre aziende europee legate alla produzione di energia pulita. Ci auguriamo tutti, anche nel nostro interesse, che l’Europa non perda anche questo “treno”.
E di prodotto interno lordo (PIL) dell’ultimo trimestre del 2022 abbiamo parlato nell’articolo “Svizzera, le cose sono andate bene, ma non benissimo”. Dai dati appena pubblicato dalla Segreteria di Stato dell’Economia (SECO) emerge un bilancio in chiaroscuro, con settori che confermano periodi negativi e altri che si uniscono. Pochi i settori in crescita. Tra questi quello dell’alloggio e della ristorazione, anche se ancora non si può parlare di livelli pre-crisi pandemica.
Trovate qui gli articoli della settimana
Svizzera, le cose sono andate bene, ma non benissimo
Se vi siete persi gli articoli delle scorse settimane, eccoli:
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Debito pubblico fuori controllo?
120 secondi
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Svizzera, le cose sono andate bene, ma non benissimo
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In attesa di quello che ci riserverà l’economia la prossima settimana, vi auguro una splendida domenica!
Un caro abbraccio,
Amalia Mirante
L’economia con Amalia by Amalia1978