Quattro riflessioni per il settore della moda
Relazione all’assemblea annuale di Ticinomoda
Lugano, LAC, 24 maggio 2016
Ringrazio sentitamente tutti voi per la fiducia. Questa tutto sommato breve esperienza alla guida della nostra associazione è stata una palestra di apprendimento e di conoscenza di uno dei rami economici più dinamici e più aperti del nostro cantone. Il nuovo mandato è un impegno che assumo da un lato con grande riconoscenza nei vostri confronti e dall’altro con il senso di responsabilità che l’attuale periodo richiede a chi lavora per fare in modo che il Ticino rimanga e anzi sia sempre più un territorio favorevole alle attività imprenditoriali: e mi riferisco sia alla nostra associazione, sia all’associazione mantello, la Camera di commercio. Grazie anche a tutti voi che vi siete rimessi o per la prima volta messi a disposizione per far parte del comitato; in particolare ai neoeletti Christian Burkhalter, Andrea Moretta e Giulio Salgaro. Benvenuto e buon lavoro a tutti.
Un grazie particolare va al nostro efficientissimo segretario, senza il quale la presidenza sarebbe un’autentica corsa ad ostacoli quotidiana. Del resto, quanto siano preziosi i collaboratori di fiducia penso che tutti voi lo possiate testimoniare per le vostre aziende.
Un caloroso saluto di benvenuto va ai nostri due illustri ospiti: il consigliere di Stato Christian Vitta, capo del Dipartimento delle finanze e dell’economia, e Ferruccio de Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore nonché editorialista del Corriere del Ticino. Grazie per la vostra cortesissima disponibilità.
Vorrei portarvi in questa breve relazione presidenziale quattro riflessioni:
a) la situazione dell’industria della moda in Ticino;
b) la situazione politico-economica nel nostro cantone;
c) il nuovo vento di vecchio protezionismo che torna a soffiare sempre più forte sul piano internazionale;
d) i rapporti del nostro Paese con il resto dell’Europa.
a) L’industria della moda in Ticino
Le vostre aziende costituiscono uno dei motori dell’economia cantonale. Lo dicono le cifre. Lo dice la forza internazionale di molti marchi. Lo dice la
tenacia delle molte piccole aziende che sono presenti sul nostro territorio. Lo hanno confermato negli scorsi mesi studi e analisi economiche dettagliate, in particolare quelle dell’Istituto di ricerche economiche. Il meta-settore della moda è insomma divenuto uno dei protagonisti economici della realtà cantonale. I fattori che hanno reso possibile questo progresso sono molteplici: le capacità imprenditoriali innanzitutto; senza queste capacità nessun territorio, per quanto attrattivo e bene organizzato, va da nessuna parte. In secondo luogo le competenze territoriali; la ricettività del Ticino quale piattaforma efficiente per chi fa impresa in generale e per chi fa impresa orientata ai mercati internazionali. Di questo tema ci parlerà probabilmente il ministro delle finanze e dell’economia. Queste sono le famose condizioni quadro sulle quali occorre lavorare costantemente, con adattamenti e miglioramenti, perché chi si ferma su questo fronte in realtà retrocede nella competizione fra territori. Questa competizione tra territori c’è, è molto vivace e avviene a volte anche in modo spregiudicato. Non possiamo fingere che non esista e non possiamo ignorarla.
b) La situazione politico-economica nel nostro cantone
E qui veniamo al secondo tema: la situazione politico-economica del nostro cantone. Una certa preoccupazione non è un sentimento fuori luogo in questi anni: stiamo purtroppo rischiando seriamente di ripiegarci e richiuderci su noi stessi. Lo fa una parte del Paese, della società, del mondo politico. Una parte che guarda con diffidenza e perfino con rancore a ciò che viene da fuori sul nostro territorio. È una parte non marginale del Paese e anche questa non può essere ignorata: va capita nelle sue posizioni e deve ricevere risposte serie, articolate, non scomuniche e anatemi. Dieci, quindici, venti anni fa la notizia dell’apertura di un’azienda o dell’insediamento in Ticino di una nuova industria dall’estero era una buona notizia e quella della chiusura di un’azienda era una brutta, pessima notizia. Era scontato, ovvio, banale che fosse così. Oggi non è più così. Anzi – è quasi incredibile doverlo constatare – il giudizio nella percezione di non poche persone è ribaltato: la nuova impresa è vista più come una minaccia che come un’opportunità (perché assume frontalieri, porta traffico, porta concorrenza); la grande azienda che se ne va fa dire a qualcuno che in fondo il Ticino non perde nulla, ma anzi ci guadagna. Non facciamo nomi, ma potete facilmente immaginare quali esempi si potrebbero indicare che interessano direttamente il nostro settore.
Questo è preoccupante: sta cambiando rapidamente e in parte è cambiato il clima, non c’è più una predisposizione generale favorevole allo sviluppo del Ticino come territorio positivo verso il fare impresa in generale e aperto anche a imprese che giungono da altri territori perché qui trovano condizioni quadro ancora positive. In questo contesto il ruolo della nostra associazione, anche a imprese che giungono da altri territori perché qui trovano condizioni quadro ancora positive. In questo contesto il ruolo della nostra associazione,
come quello delle altre associazioni economiche (e in primis quello della Camera di commercio, del suo presidente e del suo direttore che saluto e ringrazio per tutto quanto fanno) è determinante: guai se questi sentimenti negativi e di chiusura dovessero affermarsi, o addirittura diventare prevalenti e maggioritari nel nostro Paese.
c) Il nuovo vento di vecchio protezionismo
Questo ci permettere di fare la terza riflessione: sull’Europa, ma non solo, soffia un nuovo vento di vecchio protezionismo. La critica alla globalizzazione non si nasconde più e dichiara apertamente la sua preferenza per un’alternativa: il protezionismo, appunto. Che non ha nulla di nuovo e che abbiamo già ampiamente sperimentato. L’esperienza ci ha già insegnato a quali esiti negativi, non solo dal profilo economico, può portare. La globalizzazione ha certamente creato anche problemi, accanto alle molte opportunità che ha dato. Non tutti sono usciti vincenti dai cambiamenti intervenuti. Tutti gli imprenditori, tutti voi, tutti noi siamo confrontati ogni giorno sul campo con la durezza della globalizzazione. Ma ci sono tre equivoci di fondo o errori interpretativi nelle analisi critiche che oggi rilanciano il protezionismo come alternativa:
1) la globalizzazione non ha tolto potere alla politica; è semmai la politica che non è stata in grado di esercitare le sue prerogative nell’era della globalizzazione. Un territorio o un Paese è vincente o perdente nella competizione globale a dipendenza della capacità dei suoi attori e dei suoi responsabili politici di renderlo competitivo; chi non fa riforme di competitività, perde; e questa è una responsabilità della politica;
2) la globalizzazione ha fatto uscire milioni e milioni di persone dalla condizione di povertà nella quale, prima dell’accelerazione di questo processo economico, queste persone erano confinate senza alcuna prospettiva di uscita; questo progresso ha anche un forte valore umano e ideale;
3) la crisi intervenuta dal 2008 non è stata causata dalla globalizzazione o dalla presunta assenza di regole, ma da scelte poco responsabili e di comodo fatte negli anni di fronte alle sfide della globalizzazione: il denaro facile e l’indebitamento eccessivo non sono di certo principi liberali (e men che meno cosiddetti dogmi del cosiddetto neoliberismo), bensì scelte poco avvedute e deleterie di politiche dalla chiara matrice
statalistica.
Se l’analisi sulle origini delle difficoltà e dei problemi odierni poggia su equivoci o errori, molto difficilmente porterà a buoni rimedi. E infatti i rimedi proposti sono fallaci: il protezionismo è un rimedio illusorio, sbagliato e pericoloso.
d) I rapporti del nostro Paese con il resto dell’Europa
Questo ci porta alla quarta e ultima riflessione, che sarà oggetto, almeno in parte, della relazione di Ferruccio de Bortoli. Anche l’Europa oggi tende a chiudersi, soprattutto al suo interno. Poco più di trent’anni fa veniva firmato l’Accordo di Schengen tra un primo nucleo di Paesi europei. Meno di trent’anni fa cadevano la Cortina di ferro e il Muro di Berlino. Oggi nell’Europa in difficoltà si erigono nuove barriere con il filo spinato. Ce lo avessero detto dieci anni fa, non ci avremmo creduto, o avremmo addirittura riso. Ma la realtà è questa. I partiti tradizionali sono in serie difficoltà, l’UE attraversa una crisi di legittimazione politica molto pesante (e reagisce spesso male, con arroganza, o anche con sprezzo), avanzano i partiti e i movimenti eufemisticamente detti euroscettici, cioè contrari all’Unione e favorevoli alla disgregazione dell’UE, alla fine dell’euro e alle chiusure nazionalistiche. La Svizzera non è immune da queste tendenze. Il 9 febbraio di due anni fa la maggioranza dei nostri cittadini e dei nostri Cantoni ha approvato l’iniziativa che vorrebbe limitare molto (di fatto forse chiudere) l’esperienza della libera circolazione delle persone.
Conclusione
Questo dunque il quadro generale. Direte: solo tinte fosche? La risposta è no. No perché i numeri dell’economia, a dispetto delle cassandre e dei profeti di sventura, sono positivi. I più pessimisti possono dire “sono ancora positivi”. Ma comunque sono positivi. In Svizzera e in Ticino. Questo cosa significa? Significa che l’imprenditoria ha forza e capacità che per molti sono forse insospettabili, ma che per chi fa impresa sono dati di fatto acquisiti. Torniamo così alle considerazioni fatte in entrata. Le capacità imprenditoriali, la responsabilità del fare impresa, dell’assumere il rischio imprenditoriale e del calcolarlo per quanto possibile bene, dell’accettare l’incertezza, la creatività nell’offrire prodotti e servizi che rispondono alla domanda o che generano nuova domanda (il libero mercato è anche se non soprattutto questo): tutto questo costituisce quell’insieme di ingredienti che sono i requisiti, le premesse, il fondamento del progresso e del benessere diffuso. E se è vero che senza capacità imprenditoriali non si va da nessuna parte nemmeno nel più competitivo dei territori, è anche vero che le capacità imprenditoriali sanno affrontare e superare anche le più dure avversità. Purché siano libere di esprimersi, nel contesto di regole ragionevoli e non asfissianti.
Nel nostro “meta settore” della moda lo vediamo molto bene. Questo, nonostante tutto, induce all’ottimismo. Senza nascondere problemi e difficoltà, ma anche senza sminuire quelle capacità imprenditoriali che sono alla base del vostro successo.
Vi ringrazio.
Marina Masoni / 24.05.2016