MOZIONE: Per una riforma del sistema di abilitazione degli insegnanti in base alle esigenze della scuola ticinese
La grave e difficile situazione che stanno attualmente affrontando gli insegnanti in abilitazione al DFA ha reso evidente la necessità di un ripensamento delle modalità di ammissione per la formazione di docente. I problemi denunciati da decine di docenti in abilitazione in varie lettere indirizzate al DECS e al DFA, nonché dall’assemblea di categoria organizzata dal sindacato VPOD, non sono d’altronde affatto nuovi. I sottoscritti deputati avevano sollevato l’attenzione su questo tema già nell’ambito del dibattito sul Consuntivo dello scorso anno e con l’interrogazione 77.24 del 01.07.2024, in cui veniva espressa preoccupazione per il fatto che “malgrado le limitate prospettive occupazionali, per l’anno scolastico 2024-25 è prevista l’apertura dei percorsi di formazione anche per le materie più sotto pressione”.
Nell’interrogazione citata, venivano rimessi in discussione i vantaggi delle attuali modalità di ammissione rispetto al modello “en emploi” abbandonato nel 2002. In tale occasione il Consiglio di Stato rispose, basandosi su diverse considerazioni, che «si può concludere che l’attuale sistema presenti più vantaggi per gli studenti rispetto al modello “en emploi”». Riteniamo che i recenti fatti che coinvolgono i docenti neoabilitati e senza impiego mostrino che i limiti del sistema attuale siano ben superiori ai presunti vantaggi.
Sino al 2002, il modello “en emploi” permetteva agli aspiranti docenti di intraprendere la formazione solo a seguito dell’assunzione da parte del Cantone, in modo da armonizzare le ammissioni al DFA con l’effettivo bisogno di personale docente, evitando così situazioni problematiche come quella occorsa di recente. Il modello attuale invece prevede un coordinamento tra DECS e DFA riguardo al numero di posti di formazioni aperte per materia ogni anno, che in linea di principio dovrebbe far combaciare le ammissioni con l’effettivo bisogno; purtroppo l’inadeguatezza di tale coordinamento è ormai del tutto evidente. Il cambiamento di sistema è legato al fatto che il diploma di insegnamento ottenuto “en emploi” non è riconosciuto dalla Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE). Tale riconoscimento permette di insegnare in tutta la Svizzera con un diploma di insegnamento ottenuto in qualsiasi Alta Scuola Pedagogica (ASP) svizzera riconosciuta.
Il Consiglio di Stato, nella risposta alla citata interrogazione, sosteneva che il sistema attuale sarebbe preferibile proprio perché il diploma così rilasciato è riconosciuto dalla CDPE, il che significherebbe che «con il ritorno al modello “en emploi” i diplomati del DFA/ASP risulterebbero chiaramente svantaggiati rispetto ai loro colleghi del resto della Svizzera, perché si presenterebbero ai concorsi senza diploma di insegnamento, mentre quelli formati nelle altre ASP svizzere sarebbero già pronti all’impiego», oltre all’idea che «applicando il modello “en emploi”, si porrebbe il quesito su quale titolo richiedere per accedere alla formazione erogata dal DFA/ASP», con ripercussioni sulla durata e qualità della formazione. Tali considerazioni risultano insufficienti a giustificare il rifiuto del ritorno al modello “en emploi” dal momento che lo «svantaggio» dei candidati ticinesi sarebbe pressoché azzerato con il requisito di conoscenza madrelingua o certificata con attesto C2 della lingua italiana. D’altra parte, la preoccupazione relativa al fatto che «non sarebbe possibile rilasciare un Master “en emploi”, con un conseguente abbassamento del livello di formazione» viene risolta dal fatto che il nome di un attestato non incide sulla qualità della formazione.
Occorre inoltre considerare la specificità del nostro territorio. Come unico Cantone interamente di lingua italiana, infatti, non si può pensare alla mobilità intercantonale dei docenti ticinesi come la norma, ma semmai come eccezione. Diverse ASP d’oltralpe pongono come requisito d’ammissione la conoscenza madrelingua o C2 certificata della lingua in cui si svolge la formazione, condizione che gli studenti ticinesi difficilmente soddisfano, nonostante spesso svolgano il percorso universitario in lingue nazionali diverse dall’italiano. Infatti, come scrivevamo nella citata interrogazione, ricordando anche il problema della “fuga di cervelli”: «uno dei pochi settori ad oggi in grado di attirare a Sud delle Alpi i laureati ticinesi è quello dell’insegnamento, come dimostra il numero in costante crescita di candidature ricevute dal Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI, che lo scorso anno è stato confrontato con oltre 600 domande di ammissione». Pertanto risulta più importante, in ottica dello sviluppo del Cantone e della sua scuola pubblica, rinunciare al riconoscimento della CDPE in favore di un sistema che garantisca l’impiego ai docenti abilitandi.
Occorre da ultimo ricordare che il Consiglio di Stato, nella citata risposta, informava che, in collaborazione col DFA, era in corso un esame di metodi alternativi a quello “en emploi” proposti nel resto della Svizzera. L’urgenza di trovare una soluzione al problema delle ammissioni al DFA non commisurate col reale bisogno di docenti impone di agire subito, fermo restando che qualsiasi metodo che non preveda l’assunzione preliminare del docente abilitando favorisce il precariato degli insegnanti e non può garantire la corrispondenza di ammissioni e bisogno effettivo di personale docente. Precariato e difficoltà d’impiego che sono inoltre aggravate dall’impossibilità di abilitarsi contemporaneamente per più di un ordine scolastico, come avviene invece in vari altri cantoni d’Oltralpe.
Oltre a ciò, va segnalato il forte malcontento diffuso nel corpo insegnante circa la qualità dei percorsi abilitativi del DFA, nonché la sua talvolta limitata corrispondenza con la realtà della scuola ticinese. Vari esperti di materia tendono a considerare in modo negativo (specialmente in sede di assunzione) le pratiche e le proposte didattiche ricalcate sulle metodologie insegnate al DFA, alimentando sconforto e insoddisfazione tra i candidati ai concorsi scolastici. Questa mancata corrispondenza può almeno in parte essere ricondotta all’evoluzione istituzionale dell’istituto preposto all’abilitazione degli insegnanti: dopo aver cessato di essere direttamente integrato nel DECS come Alta scuola pedagogica (ASP), esso costituisce oggi un dipartimento della SUPSI, con un importante grado di autonomia.
Chi scrive non vuole mettere in discussione il principio della libertà accademica, ma va considerato se nel caso in esame essa non tenda ad alimentare problemi di varia natura più che a fungere da stimolo alla ricerca e al dibattito scientifico. Un ritorno del DFA/ASP sotto la diretta autorità dipartimentale, che ne coordini, controlli e moduli l’attività in base alle esigenze del mondo scolastico, costituisce un altro importante requisito per il successo di una riforma del sistema di abilitazione.
Sulla base di queste considerazioni, chiediamo che il Consiglio di Stato:
1. Sottoponga al Gran Consiglio un messaggio per la denuncia dell’Accordo intercantonale sul riconoscimento dei diplomi scolastici e professionali del 18 febbraio 1993, per ottenere l’uscita del Canton Ticino da tale concordato e garantire maggiore autonomia nella gestione di questo campo;
2. Rescinda il mandato di prestazione con la SUPSI per quanto attiene alla formazione degli insegnanti e riporti l’Alta scuola pedagogica (ASP) sotto la propria diretta autorità e gestione;
3. Ristrutturi i percorsi di abilitazione degli insegnanti ritornando ad una modalità “en emploi”, che preveda anche la possibilità di abilitarsi contemporaneamente per più di un ordine scolastico.
Per il Partito Comunista
Massimiliano Ay e Lea Ferrari