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Care amiche, cari amici, buona domenica!
La nostra newsletter arriva un po’ in ritardo quest’oggi. Ringraziamo di cuore il grande Lulo Tognola a cui abbiamo “rubato” la vignetta presentata durante la trasmissione televisiva Radar e che ben illustra il senso del nostro articolo settimanale riferito al Cantone Ticino “La disoccupazione cresce: non facciamo gli struzzi!”
Sintesi della settimana ed evoluzione
La nostra informazione domenicale dell’Economia con Amalia cominciamo con la notizia che in questi giorni si sta svolgendo la conferenza annuale della Cop 29 in Azerbaigian e che terminerà il 22 novembre. La Cop è la Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc), un incontro tra i 197 paesi e l’Unione Europea che si svolge annualmente dal 1992 quando a Rio de Janeiro fu sottoscritta la Convezione quadro sui cambiamenti climatici. Da allora, annualmente ci si incontra regolarmente per discutere dello stato di avanzamento di quanto pianificato e dei risultati raggiunti, come pure di nuovi programmi e possibili sviluppi nella lotta al cambiamento climatico. A molti appare bizzarra la scelta di organizzare questo evento in un paese che fa delle esportazioni del petrolio e del gas naturale la sua fonte primaria di entrate (35-50% del Prodotto interno lordo). Ricordiamo l’importante ruolo di questa nazione quando l’Unione Europea decise di applicare sanzioni alla Russia e quindi impedire l’importazione di gas. L’Azerbaigian divenne una delle fonti primarie di approvvigionamento e sottoscrisse importanti contratti con molti paesi, tra cui l’Italia. Ma non finisce qui: anche per quanto riguarda le istituzioni democratiche e il rispetto dei diritti umani la scelta fa molto discutere. Tra gli ultimi casi emblematici ricordiamo l’occupazione militare e la fine decretata del Nagorno Karabakh, entità indipendente che era nata dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Ma tornando ai temi in discussione primo tra tutti spicca il finanziamento delle misure da attuare per compensare i danni come alluvioni, caldo torrido, siccità, nubifragi, … nei paesi emergenti causati dal cambiamento climatico (politiche di adattamento). Negli aiuti sono anche incluse le risorse per consentire a questi paesi di ridurre le emissioni di CO2 (politiche di mitigazione). Fino ad ora l’accordo prevedeva che i paesi più benestanti finanziassero quelli più poveri, in particolare per quanto attiene ai costi dei danni naturali causati dal surriscaldamento. In realtà, parrebbe che la maggioranza dei fondi (oltre i 2/3) sia andata nelle misure di contenimento anziché in quelle di adattamento. Nel 2009 la cifra era stata fissata in 100 miliardi di dollari (circa 89 miliardi CHF). Entro la fine di questa conferenza prevista per la settimana prossima, il New Collective Quantified Goal (NCQG) dovrà definire il nuovo accordo. Esso dovrà esplicitare l’obiettivo globale, l’entità del fondo, la suddivisione prevista tra prestiti e sovvenzioni come pure le condizioni per ricevere i finanziamenti. Le prime bozze parlano di un contributo dei paesi sviluppati che si aggirerebbe tra 1’000 e i 2’000 miliardi di dollari (89-180 miliardi CHF) annui per sostenere i paesi in via di sviluppo nell’affrontare il cambiamento climatico. Senza essere pessimisti difficilmente questo accordo troverà la luce viste le difficoltà, magari, anche più impellenti con cui è confrontata la maggioranza degli Stati. La Svizzera da parte sua suggerisce che il gruppo dei paesi donatori di cui fanno parte oltre a lei Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna e Giappone, sia ampliato anche con i paesi che attualmente producono più emissioni di CO2 e che hanno un reddito nazionale lordo pro capite di oltre 22 mila dollari (ca. 20 mila CHF). Questo significherebbe l’entrata tra i paesi paganti di Arabia Saudita, Russia e Cina. Altre varianti potrebbero includere anche paesi come gli Emirati Arabi, il Qatar, il Kuwait, la Corea del Sud, Israele, … Per il momento quindi la situazione vede da una parte paesi in via di sviluppo che chiedono più risorse e i paesi sviluppati in sempre più difficoltà nel reperire questi fondi. La settimana prossima scopriremo quale sarà l’accordo raggiunto, anche se da parte nostra riteniamo che lo stesso avrà un impatto molto poco concreto e tanto proclamatorio.
Al contrario, speriamo che non sia soltanto proclamatorio l’intento di parte del parlamento di presentare una proposta concreta per sostenere il settore dell’acciaieria Svizzera che si trova in grosse difficoltà e di cui abbiamo parlato nelle scorse settimane. Proprio ieri, il consigliere federale responsabile dell’economia Guy Parmelin aveva dichiarato di non poter intervenire direttamente nel caso della ristrutturazione di Swiss Steel che ha annunciato la soppressione di 800 posti di lavoro in Svizzera e all’estero. Le sue parole sono state come una doccia gelata, non solo per le persone coinvolte direttamente nell’azienda, ma soprattutto per la semplicità con cui il consiglio federale ancora una volta sembra non recepire l’importanza del mantenimento di settori strategici per l’indipendenza della Svizzera. Questo atteggiamento potrebbe, in effetti, indurci a credere che l’intenzione del consiglio federale di renderci sempre più dipendenti da un’Unione Europea in piena crisi abbia un certo fondamento. Speriamo che al contrario il resto della classe politica si mobiliti trovando una soluzione, magari attuando quello che hanno già fatto altri paesi, ossia sussidiare il prezzo dell’energia che rimane uno dei costi principali di questo settore. Non dimentichiamo che furono proprio i dazi sull’alluminio e sull’acciaio a essere introdotti per primi nel 2018 dagli Stati Uniti a dimostrazione dell’importanza di questo settore. Speriamo che il consiglio federale, il cui indice di gradimento e fiducia continua a ridursi, sappia cogliere quest’opportunità di vicinanza alla Svizzera e alla sua economia.
E terminiamo con il nostro articolo settimanale. “La disoccupazione cresce: non facciamo gli struzzi!” parla dei dati della disoccupazione calcolati secondo il metodo dell’organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e appena pubblicati. In questo caso emerge una situazione drammatica per il Canton Ticino dove oltre 13’200 persone (7.3%) sono alla ricerca di un posto di lavoro. Dati ben diversi da quelli che preferiscono utilizzare le nostre autorità, ossia il tasso di disoccupazione calcolato dalla Segreteria di Stato dell’Economia (SECO), che indica “solo” il 2.4%, circa 4’000 di disoccupati. Forse sarebbe ora che il governo, anziché mettere la testa sotto la sabbia si domandi per quale ragione le persone scappano dagli uffici regionali di collocamento e soprattutto cominci a dare priorità al problema del lavoro.
Trovate qui gli articoli della settimana
La disoccupazione cresce: non facciamo gli struzzi!
Se vi siete persi gli articoli delle scorse settimane, eccoli:
L’effetto Trump sull’economia
Ticinesi? Sempre più poveri
Speriamo che Natale arrivi in fretta…
E se tassassimo Paperon de’ Paperoni?
La fine delle auto elettriche e le mille contraddizioni dell’Unione Europea
120 secondi
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L’Economario – il vocabolario di economia
Vi ricordiamo che il nostro vocabolario di economia vi spiega in parole molto semplici, temi apparentemente complessi e soprattutto perché sono importanti nella nostra vita di tutti i giorni. Inflazione, PIL, consumi, commercio estero, disoccupazione: temi in apparenza complessi che vengono spiegati con parole semplici.
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La disoccupazione cresce: non facciamo gli struzzi!
L’effetto Trump sull’economia
Ticinesi? Sempre più poveri
Speriamo che Natale arrivi in fretta…
E se tassassimo Paperon de’ Paperoni?
In attesa di quello che ci riserverà l’economia la prossima settimana, vi auguro una splendida domenica!
Un caro abbraccio,
Amalia Mirante