Salario mimino? Conseguenze nefaste per le nostre aziende
La votazione popolare del prossimo 18 maggio sul salario minimo è ormai alle porte. La tematica suscita molto interesse, da una parte perché tocca le tasche dei cittadini, dall’altra perché una sua introduzione in Svizzera nuocerebbe seriamente alle aziende, in particolare a quelle piccole realtà a conduzione familiare che caratterizzano il nostro tessuto economico. Sebbene gli argomenti per dire no al salario minimo imposto per legge siano numerosi, vorrei concentrarmi in particolare su due questioni molto pratiche e chiare a tutti.
Essendo in contatto quotidiano con diversi imprenditori ed impiegati altamente qualificati, posso affermare con cognizione di causa che uno stipendio di 4000 franchi al mese avrebbe conseguenze indesiderate tanto per le aziende, quanto per il livello degli stipendi di tutti gli altri che tenderà forzatamente verso il basso.
Discutendo in queste ultime settimane con diversi impiegati altamente qualificati è emersa la loro reale preoccupazione data dal fatto che un’apprendista, formato oppure no, avrebbe comunque – fin dal primo giorno di lavoro – un salario di 4000 franchi al mese. Lo stesso dicasi per un operaio non qualificato. Senza dimenticare che i residenti all’estero sarebbero ancor più indotti a venire a lavorare in Svizzera ingolositi da una remunerazione molto importante e creando un mercato del lavoro ancor più surriscaldato.
In questo contesto, dunque, quali sarebbero le pretese di chi oggi, dopo anni di esperienza e un diploma alle spalle, ha uno stipendio maggiore a questa soglia minima che ha visto crescere gradualmente negli anni? Ecco che non solo si perderebbe il senso della proporzione tra i salariati, ma addirittura si rischierebbe un abbassamento degli stipendi più alti, perché data una massa salariale, l’azienda non può pagare qualsiasi livello di stipendio senza conseguenze per l’attività corrente e per gli investimenti futuri. Detto in altre parole e semplificando al massimo, ipotizziamo che nella ditta del signor X, con una massa salariale pari a 10, lavorino due operai: il primo, qualificato e con grande esperienza, percepisce 6.5, mentre il secondo, appena entrato in azienda e senza alcuna qualifica, intasca 3.5. Ora, se dovessimo imporre un minimo salariale pari a 4, è inevitabile che i margini di manovra dell’azienda non sono ampissimi al punto che in fin dei conti, il secondo operaio, per legge, vedrà il salario aumentare a 4, mentre il secondo assisterà ad una riduzione del suo stipendio a 6. Fantapolitica? Fate un giro in paese e chiedete cosa ne pensa il piccolo commerciante al dettaglio, il macellaio, il parrucchiere con l’apprendista, il bar sotto casa e così via.
Tra l’altro, i titolari di queste ditte medio-piccole potranno dirvi quali misure prevedono in caso di salario minimo: oltre alla riduzione dei salari più alti, potranno confermarvi la necessità di aumentare i prezzi dei prodotti o dei servizi svolti, un ritardo o l’annullamento degli investimenti e, in numerosi casi, una cessazione dell’attività a causa dei conti in rosso.
Inutile dire che tutto ciò sarebbe un duro colpo in un momento di grandi cambiamenti sul mercato del lavoro e dal profilo degli sbocchi professionali.
Concludo ricordando che attualmente esistono già numerosi contratti collettivi di lavoro che regolano diversi settori tra i quali cito, solo a titolo di esempio, i parrucchieri, gli albergatori, gli estetisti, i macellai, ma anche l’edilizia o gli elettricisti e tanti altri. Si tratta di contratti che, oltre a stabilire un minimo stipendio salariale, comportano anche tutta una serie di altre negoziazioni come il numero delle settimane di vacanza o altro ancora. È con questi strumenti, frutto di una responsabile ed approfondita discussione tra le parti sindacali, le associazioni di categoria e i diretti interessati, che si possono seriamente sostenere le aziende e i loro dipendenti nel rispetto delle peculiarità regionali e settoriali.
Marco Passalia, deputato PPD+GG in Gran Consiglio