Anni fa quando esistevano ancora tutti i commercianti al dettaglio nei paesini, il mese di dicembre era considerato un mese dove si triplicavano gli affari. Si andava per negozietti a acquistare gli sci, le scarpe e anche qualche piccolo giocattolo. Era occasione per ricevere oggetti esclusivamente come regalo di Natale. I commercianti per quel periodo erano pronti a soddisfare ogni desiderio Era bisness con testa, anche se a volte si eccedeva. Da qualche anno sentiamo le lamentele dei piccoli commercianti su un periodo naalizio non più così allettante. Le cause, non colpe, vanno definite ad ampio respiro. Detto che in questi anni il potere d’acquisto è considerevolmente diminuito, liberalismo e politica ci hanno messo del loro nel levare ogni sorta di regolamentazione logica, anche perché qualcosa si è rotto. Iniziamo già agli inizi di novembre vedere grandi magazzini e negozianti addobbare a Natale le vetrine, perdendo la concentrazione del periodo vero in cui si deve respirare l’atmosfera natalizia. Internet ha compiuto poi gli ultimi picconamenti ad un sistema ormai andato alla deriva: Zalando, Amazon, Google e quant’altro ammazzano letteralmente il commercio al dettaglio. Questi colossi poi, hano alle loro dipendenze personale non qualificato, pagato al limite della regolamentazione e senza pagare le tasse nei paesi in cui si procacciano profitti da capogiro. Andate una settimana prima in alcuni grandi magazzini e già trovate merce saldata!. D’altra parte i movimenti sindacali che gridano solo agli stipendi secondo CCL fissati, che a nostro modo di vedere sono comunque sempre troppo bassi. Ma sarebbe errato intervenire con grande enfasi solo sugli stipendi e condizioni lavorative. Il commercio al dettaglio, intendiamoci i negozietti di salumeria, pasticcerie, latterie e di vero artigianato dovrebbero essere protetti da una legislazione che li consideri patrimonio intrinseco dei nuclei in cui operano. Va anche detto che ai commercianti si chiede una modernizzazione di pensiero di come si deve intendere oggi il commercio. Facciamo un passo indietro, mantenendo gli agi della modernità ma riprendendo le tradizioni di allora, dove imponiamoci di acquistare almeno il 50% dei regali nei paesi in cui viviamo, dimenticandoci dei grandi Magazzini e annullando Internet per acquisti e di certo come consumatori avremmo fatto la nostra parte. Se vogliamo nuovamente un paese in cui i nostri giovani possano vivere, lavorando e divertendosi creando una loro famiglia, dobbiamo anche aspettarci dai commercianti un’onestà intellettuale che oggi sembrano aver smarrito. Inutile gridare, ci viene in mente la campagna di un artigiano solitario che ha unicamente scopi personali di salvaguardia della propria attività e di quella imprenditoriale dei suoi amici, per poi magari forse non agire di conseguenza. Se come consumatori vogliamo che nei nostri paesi, comuni, il commercio al dettaglio sia ancora una fetta importante di economia del paese stesso, anche i commercianti devono fare un passo nella direzione giusta verso i consumatori. Sentiamo di commercianti nei paesi che si lamentano che la gente va oltre confine a fare la spesa, quasi scandalizzandosi e poi loro stessi si recano in Italia perché alcuni generi costano meno, parliamo apertamente di salumi e vini e altri generi dove effettivamente la differenza è notevole. Come mai nelle regioni discoste dal confine per esempio alcuni generi alimentari costano almeno il 30-40% in più rispetto centri urbani del cantone più vicini al confine? Dobbiamo porci tutti queste domande e smetterla di attaccare i consumatori come unica causa del degrado commerciale. Il consumatore è l’anello finale di una catena in cui i vari anelli stentano a concatenarsi. Allora assieme cerchiamo di sostenerci veramente e concretamente nei vari comuni e vedremo come per incanto che: i commercianti ritornano ad avere il sorriso, i consumatori sono contenti di servirsi nei negozietti dei loro comuni, i giovani possono trovare lavoro in loco e i lavoratori hanno stipendi tali da permettere di chiudere il cerchio. Ma fino a che, da parte di una classe politica ed imprenditoriale non vi sarà la coerenza dell’agire, che la si smetta di criminalizzare il consumatore che è in disoccupazione (oltre 65 mila di lavoratori frontalieri – non sono troppi?), e a causa di ciò pesa sulle finanze pubbliche, e non può permettersi suo malgrado di comperare a casa propria molti generi vitali per la esistenza stessa. Che ognuno si faccia una pensata e tragga esso stesso le proprie conclusioni! (ETC/rb)