Dopo qualche giorno di sole, ahimè, la pioggia è tornata a farci compagnia. E pare che non ci lascerà molto presto. In compenso si sente già lo scoppiettare del fuoco e l’odore di caldarroste appena arrostite che sembrano scaldarci.
E di riscaldamento climatico e cambiamenti repentini si è parlato martedì alla giornata dell’economia organizzata dal Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe). Quest’anno l’accento è stato messo sull’importanza dell’innovazione, fattore fondamentale per dare risposta ai grandi mali del pianeta, ma anche per garantire la sopravvivenza delle aziende. Qui potete trovare maggiori informazioni.
Sintesi della settimana ed evoluzione
Apriamo la nostra sintesi settimanale parlando del Regno Unito. Le immagini degli inglesi incolonnati per fare benzina nelle poche stazioni di rifornimento aperte hanno fatto il giro del mondo. Pochi mesi fa avevamo scritto in questa newsletter di situazioni simili in Libano che dipendevano dalle difficoltà economiche del Paese che non era in grado di pagare i fornitori. Nel caso inglese invece non manca il denaro; non ci sono i camionisti che trasportano il carburante. In realtà, questa situazione si era già verificata nelle prime settimane dopo le riaperture. Nei ristoranti, nei negozi, negli alberghi mancava personale. E non erano solo il commercio e il turismo a soffrire: quest’estate abbiamo letto di agricoltori che non trovavano braccianti e di produttori di carne a cui mancavano macellai. Insomma, un Paese con tanti posti di lavoro liberi e pochi inglesi disponibili ad occuparli; come spiegare questa situazione? Molti analisti con uno sguardo un po’ europeista hanno attribuito questa carenza di manodopera esclusivamente all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. A questa lettura dobbiamo però aggiungere un complemento. Durante i mesi del lockdown molti lavoratori stranieri hanno perso il posto di lavoro e dovendo scegliere se rimanere senza soldi in una città straniera o tornare a casa dai propri cari, non hanno avuto dubbi. Ora il rientro nel Regno Unito è possibile solo con un visto lavorativo che si ottiene rispettando alcune condizioni. Tra queste parlare inglese, avere già un contratto di lavoro con uno stipendio annuale di almeno 26’500 sterline (ca. 33’000 franchi) e possedere competenze specifiche in un determinato ambito professionale. Questo comporta evidentemente un ostacolo: le aziende difficilmente assumono “a scatola chiusa” un dipendente. Certo, il governo ha mancato un po’ di lungimiranza. Che questo sarebbe accaduto era abbastanza prevedibile. Come pure era prevedibile che le persone altamente qualificate che oggi sono disoccupate difficilmente andranno a svolgere queste professioni. L’idea messa in atto oggi di concedere dei permessi di lavoro temporanei poteva essere pensata già al momento della Brexit. In questo caso la Svizzera poteva servire da modello: da sempre il nostro Paese ricorre a manodopera estera per dare risposta alla domanda di lavoro in eccesso (in economia sono le aziende a domandare e i lavoratori a offrire il lavoro).
E anche di lavoro perso parliamo quando rievochiamo i 20 anni dal fallimento di Swissair. Il 2 ottobre del 2001 successe l’impensabile: 260 aerei della compagnia di bandiera svizzera con a bordo 19 mila passeggeri rimasero fermi negli aeroporti di tutto il mondo. La causa? L’azienda non aveva più denaro per pagare il cherosene necessario a volare. Fu un colpo durissimo per i collaboratori e le collaboratrici, ma anche per l’immagine del Paese. Dopo tutti questi anni sono tante le ragioni che vengono citate come cause del fallimento: la mancata entrata dello spazio economico europeo che impedì a Swissair il libero accesso al mercato comunitario, una serie di scelte strategiche sbagliate tra cui quella denominata hunter che prevedeva l’acquisizione di quote di altre compagnie aeree e, non da ultima, avvenimenti impensabili come l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre dello stesso anno. Anche in questo caso non mancarono di essere messi sotto accusa i bonus milionari elargiti alle funzioni più importanti, mentre l’azienda andava incontro al tracollo. Ma forse la causa più discussa è stata l’incapacità del governo di intervenire. Molti nel tempo hanno paragonato questo caso a quello di UBS. Al contrario di quanto fatto con Swissair, la Confederazione insieme alla Banca Nazionale nel 2008 sono intervenute a sostegno dell’allora prima banca svizzera. Era il 16 ottobre quando i cittadini venivano a conoscenza del fatto che lo Stato avrebbe messo a disposizione fino a 60 miliardi di franchi per salvare UBS. La strategia si basava su un prestito di 6 miliardi e sull’acquisizione per circa 45 miliardi di titoli cosiddetti tossici (prodotti finanziari venduti come quasi sicuri quando in realtà erano di scarsa qualità o ad altissimo rischio). Per correttezza dobbiamo ricordare che lo Stato non ha avuto nessuna perdita finanziaria, anzi. Tuttavia, la differenza con il mancato intervento nel caso Swissair ha fatto discutere e fa discutere ancora a lungo. In realtà, la situazione era molto differente. Nel caso Swissair, la politica ha avuto la possibilità di scegliere, scegliendo per il non intervento. Nel caso UBS non c’erano alternative: il fallimento della banca, date le sue dimensioni e l’importanza delle sue attività, avrebbe causato un dissesto e un disordine monetario talmente violento da far arrischiare il fallimento all’intero Paese.
E di fallimento degli Stati Uniti parliamo ora. Lo so che vi sembra strano, eppure questa settimana la prima potenza mondiale ha arrischiato di fallire. Il termine tecnico utilizzato in questo caso è shutdown. Vediamo cosa significa. Come ogni stato democratico anche quello americano prevede che gli organi legislativi approvino le spese dell’ente pubblico. Nel caso in cui non si trovi un accordo la legge sancisce la chiusura automatica della maggioranza dei servizi pubblici non ritenuti essenziali. Quasi tutti i presidenti sono stati confrontati con questo stop. Di solito, sono i grandi temi a creare il contrasto tra repubblicani e democratici e a portare alla minaccia del fallimento. Per esempio nel 1977 ci si oppose al presidente Jimmy Carter che voleva finanziare l’aborto per i ceti più poveri; nel 2013 a Barack Obama fu contestata la messa in atto dell’Obamacare (un sistema più vicino all’idea di assistenza sanitaria gratuita) e nel 2018 a causa della costruzione del muro al confine con il Messico Trump visse lo shutdown più lungo della storia. Per 35 giorni circa 800 mila dipendenti pubblici non hanno lavorato o hanno lavorato “gratis” (in realtà poi gli stipendi arretrati sono stati versati). Questa forma di mancata approvazione delle spese pubbliche comporta il blocco delle attività federali: controllori negli aeroporti, gestori dei parchi pubblici, dipendenti del fisco sono solo alcuni che vengono toccati dallo shutdown. Ora sul tavolo della discussione c’è l’innalzamento del debito pubblico. Se il primo stop è arrivato senza grandi sorprese dai repubblicani che non vogliono sostenere il maxi-piano di investimenti sulle infrastrutture che causa un aumento delle spese di mille miliardi di dollari, anche i democratici iniziano a litigare sulle priorità. Ad ogni modo, se il presidente Joe Biden non vuole entrare nella lista dei presidenti “a rischio fallimento” dovrà trovare un accordo tra tutti entro il 18 ottobre.
E proprio di finanze pubbliche e di necessità di affrontare il tema della riduzione dell’intervento dello Stato abbiamo parlato nell’articolo pubblicato dall’Osservatore che ringraziamo. Purtroppo è arrivato il momento di abbandonare L’illusione del sostegno duraturo e di preoccuparsi delle conseguenze che il rallentamento delle misure fiscali e monetarie comporteranno per le nostre economie e soprattutto per i nostri posti di lavoro. Impossibile non citare a tal proposito (e lo abbiamo fatto anche nel nostro articolo) i due più famosi liberisti della storia recente, il Presidente Ronald Reagan e la Prima Ministra Margaret Thatcher.
Trovate qui gli articoli della settimana:
L’illusione del sostegno duraturo
Se vi siete persi gli articoli delle scorse settimane, eccoli:
Caffè e vaccini: a cosa servono i brevetti?
Il traballante mercato del lavoro ticinese – I parte
Il traballante mercato del lavoro ticinese – II parte
Certificato Covid: la “spinta gentile” verso il vaccino
120 secondi
Mi sono accorta solo ieri che il sito non conteneva tutti i video delle ultime settimane. Scusatemi! Ora mi trovate qui oltre che su Instagram (qui).
TikTok
E che dire delle pillole di economia di un minuto su Tiktok? A voi il giudizio! Trovate “L’economia con Amalia” (Amalia Mirante555) qui: https://vm.tiktok.com/ZMdg6eHsb/
L’Economario – il vocabolario di economia
Vi ricordiamo che il nostro vocabolario di economia vi spiega in parole molto semplici, temi apparentemente complessi e soprattutto perché sono importanti nella nostra vita di tutti i giorni. PIL, consumi, commercio estero, disoccupazione: temi in apparenza complessi che vengono spiegati con parole semplici.
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L’illusione del sostegno duraturo
Caffè e vaccini: a cosa servono i brevetti?
Il traballante mercato del lavoro ticinese – I parte
Il traballante mercato del lavoro ticinese – II parte
In attesa di quello che ci riserverà l’economia la prossima settimana, vi auguro una splendida domenica!
Un caro abbraccio,
Amalia Mirante
L’economia con Amalia by Amalia1978