Comunicato stampa UDC: Prima i nostri – vince il partito preso
L’UDC Ticino prende atto con rammarico della bocciatura che il Gran Consiglio ha decretato oggi dell’iniziativa presentata dalla Commissione speciale per l’applicazione di quella popolare “Prima i nostri!”.
Il risultato non è giunto inatteso – viste le posizioni espresse oggi in aula, ma abbondantemente preannunciate nei commenti che hanno fatto seguito alla presentazione dei due rapporti commissionali – anzi, vista l’aria che tirava, il risultato di 32 voti su un totali di 77 (44 contrari all’iniziativa e 2 astensioni) è da ritenersi una sconfitta sempre amara sì, ma onorevole.
Dal lungo dibattito è emerso, agli occhi di UDC Ticino, che da parte dei sostenitori del rapporto di maggioranza che invitava alla bocciatura – con eccezione di alcuni franchi tiratori, i gruppi PLR, PPD, PS, metà Verdi, con l’appoggio, seppur insignificante ai fini della votazione, di Montagna viva e del Partito comunista – una posizione anche minimamente conciliante nei confronti dell’iniziativa era preclusa, l’importante era soprattutto sottolineare, non lesinando termini anche offensivi, che “Prima i nostri!” non aveva lo scopo che si prefiggeva ufficialmente (tutela del lavoro indigeno), bensì faceva parte di una spregevole strategia della destra in generale e dell’UDC in particolare, volta a illudere il popolo con proposte inattuabili a fini meramente elettorali.
Naturalmente, dissimulando il tutto con – quelli sì con evidente scopo elettorale – sperticati quanto ipocriti elogi degli scopi dell’iniziativa (è bizzarra questa schizofrenia che un momento ti fa negare e un momento dopo condividere ed elogiare questi scopi), gettando tutta la responsabilità sul diritto superiore che, si è affermato con arrogante presunzione, escluderebbe senza possibilità di dubbio qualsiasi applicazione di una legge che, si badi bene, non è ancora stata elaborata. Trattandosi di un’iniziativa generica, infatti, nonostante vi fosse allegata una bozza indicativa di un disegno di legge, la sua accettazione avrebbe incaricato il Consiglio di Stato di elaborare un testo d’applicazione anche in misura sensibilmente discordante da quello proposto. L’iniziativa era peraltro perfettamente conforme alla Costituzione federale, da cui riprendeva l’articolo 121a votato da popolo e cantoni il 9 febbraio 2014, tant’è vero che le Camere federali, seppure obtorto collo, hanno dovuto dare la garanzia federale alla nostra modifica costituzionale.
Ma non c’è stato nulla da fare: nonostante l’impegno e del presidente della commissione iniziati vista, Gabriele Pinoja , e della relatrice di minoranza, Lara Filippini, che – portando esempi di altre misure che la Confederazione ha preso in passato nonostante fossero in contrasto con il diritto internazionale – ha rivolto accorati appelli affinché i colleghi non tradissero le aspettative del popolo ticinese, ha vinto il partito preso e la proposta è stata bocciata. Peccato, si è persa anche un’occasione per dare un segnale a Berna che il Ticino è giunto al limite della sopportazione per ciò che riguarda il mercato del lavoro.
UDC Ticino ringrazia il gruppo parlamentare della Lega che ha coralmente sostenuto il rapporto Filippini, il mezzo gruppo dei Verdi che ha fatto lo stesso – con due interventi particolarmente incisivi e articolati della deputata Tamara Merlo – e i pochi franchi tiratori degli altri partiti che hanno votato controcorrente.
Ma persa la battaglia, la guerra continua. UDC Ticino si concentrerà ora sulla raccolta delle firme per l’iniziativa popolare federale per la limitazione cui il Ticino – non abbiamo dubbi – risponderà con un vasto consenso.
PLRT: Prima i nostri? No, prima i migliori. Facciamo sì che siano i nostri!
La preferenza indigena nel mondo del lavoro passa da una formazione adeguata
Prima i nostri? No, prima i migliori. Ma facciamo in modo che i migliori siano i nostri!
Il Ticino è la terza realtà culturale della Svizzera e deve continuare a lottare per le proprie peculiarità nel rispetto delle nostre basi costituzionali. Le difficoltà esistenti nella nostra economia e nel mercato del lavoro vanno affrontate con grande energia e vigore così come si deve prestare attenzione a chi rimane al margine del mercato del lavoro. La risposta in particolare si chiama formazione senza illudere i cittadini con regole farlocche.
Gli accordi bilaterali costituiscono una delle condizioni quadro fondamentali per l’ottimo andamento della nostra economia di questi anni; malgrado il franco forte e un costo della manodopera più alto rispetto all’estero, pur con un segreto bancario indebolito, l’economia svizzera ha saputo rinnovarsi e consolidarsi ai più alti livelli dando prova di capacità di innovazione e di grande qualità delle proprie prestazioni.
Il PLRT è perfettamente consapevole dell’esistenza di problemi (dumping, pressione sui salari e effetto sostituzione). Per questo dobbiamo proseguire con misure accompagnatrici efficaci. I controlli devono essere potenziati, si applichino contratti normali e le sanzioni siano certe. Si ricordino le misure proposte dal Dipartimento delle finanze e dell’economia e già messe in vigore dal Consigliere di Stato Christian Vitta che hanno portato a 60 permessi revocati e 200 segnalazioni, il 10% delle quali attraverso il nuovo portale online di segnalazione accessibile a tutti. Sono misure per far crescere la qualità nel mondo del lavoro, nel quadro degli accordi bilaterali con l’Ue, che è il nostro principale partner commerciale.
Occorre anche favorire i lavoratori residenti rafforzando il partenariato sociale. Ma soprattutto si rafforzi la formazione professionale, la formazione continua e la riqualifica professionale in un modo del lavoro sempre più flessibile e in continuo cambiamento. Va poi prestata attenzione al fatto, che, senza Accordo di libera circolazione, le misure di accompagnamento cadrebbero e probabilmente i problemi rimarrebbero, considerando la nostra localizzazione incuneata in una Lombardia in crisi. Spesso si cita il fatto di aver importato anche un’imprenditorialità malsana con attori problematici e spesso vi è il sentore di infiltrazioni criminali. Si tratta però di un aspetto che non c’entra nulla con l’Accordo di libera circolazione e con i Bilaterali. Questa criminalità era già entrata in passato e sarebbe entrata comunque. Anzi, oggi abbiamo potenzialmente maggiori controlli grazie alle misure d’accompagnamento.
Va infine sottolineato come molti profili professionali – anche di alto livello, ad esempio nel campo farmaceutico – sul nostro territorio attualmente non esistono. Per mancanza di una formazione adeguata o perché non adatti alle nuove esigenze del mercato del lavoro. L’orientamento nel percorso formativo è quindi importante già dalle scuole medie, specie per quanto concerne le materie cosiddette MINT (matematica, informatica, scienze e tecnica, anche tra le ragazze) e le lingue (tedesco e inglese). D’altra parte, la tendenza a credere che la formazione professionale sia inferiore a quella accademica è sbagliata. Lo dimostra ad esempio il fatto che i percorsi formativi “ponte” verso le università e le università professionali sono molti anche dopo la fine dell’apprendistato. La mancanza di formazione è una problematica importante per gran parte dei giovani adulti che entrano in assistenza, come pure degli “over 50” che perdono il lavoro e difficilmente sono ricollocabili. Bisogna quindi puntare sulla formazione continua attenta alle nuove mansioni richieste.
Comunisti: Non cedere ad una società illiberale
Matteo Quadranti, deputato PLR in Gran consiglio: “Pur in un comprensibile momento di paura ed insicurezza per il ceto medio e per quello operaio, dobbiamo evitare di cadere in una società illiberale, del rancore e del pessimismo. Manteniamo la rotta su quella che è la visione di uno Stato liberale e democratico fondato sul diritto e sul merito. Giusto responsabilizzare i datori di lavoro ma giusto è anche infondere formazione, fiducia e spirito d’impresa invece che assistenzialismo ai ticinesi che il lavoro lo otterranno e terranno se sapranno essere migliori degli altri per formazione, competenze, flessibilità e disponibilità”.
Prima i nostri …diritti del lavoro!
di Massimiliano Ay, deputato in Gran Consiglio per il Partito Comunista
In Gran Consiglio ho sentito parlare di salari bassi, di dumping, di precarietà sociale, ecc. proprio da quella parte politica che si è sempre opposta all’estensione delle misure di accompagnamento, che si è opposta ai salari minimi legali, e che continuamente chiede di tirare la cinghia in ambito sociale.
E adesso si vuole ancora illudere i cittadini favorendo la guerra fra poveri, a tutto vantaggio di un padronato (anche e soprattutto) nostrano che dalla deregolamentazione del mercato del lavoro ha tratto solo profitto.
Prima i nostri? Ma quanto i promotori di questa iniziativa hanno privatizzato i nostri servizi pubblici con relativi licenziamenti hanno pensato ai nostri o al grande capitale globalizzato?
Prima i nostri? Diciamo che ne possiamo riparlare quando chi oggi illude i cittadini a ridosso delle elezioni, inizierà ad accettare di frenare la libera circolazione dei capitali (da cui la libera circolazione della manodopera è solo una conseguenza).
Quando il patriottismo relativo della destra sarà effettivo, cioè quando difenderà sul serio i nostri diritti sociali, quando intensificherà gli investimenti nella formazione e nella ricerca pubblica (su cui invece oggi chiede più risparmi), e quando chiaramente dirà che l’alternativa all’UE è solo la cooperazione multipolare (quando invece propone di tagliare nella politica estera), allora si potrà fare qualcosa. Altrimenti stiamo qui a parlarci addosso, scontrandoci fra l’altro con il diritto federale.
Senza andare al fondo del problema e cioè mettere mano a un diritto del lavoro svizzero fra i più scarni d’Europa non si risolvono i problemi. Ma quando si dice questo, subito la parte politica che di solita si erge a difesa di quell’anarchia del mercato nascosta dalla libertà del padronato di fare quello che vuole, vi si oppone.
Il Partito Comunista chiede che la politica venga prima dell’economia, che i diritti dei lavoratori siano preponderanti rispetto alla libertà imprenditoriale, che lo Stato pianifichi lo sviluppo economico e che la Svizzera diversifichi al massimo i proprie partner commerciali per non dover più dipendere economicamente dall’UE.