Per la Giornata Mondiale del Sonno (19 marzo 2021) la Fondazione Europea del Sonno/ESF ribadisce il suo impegno per la sensibilizzazione alle problematiche del sonno.
Il Covid-19 porta con sé un forte aumento dei disturbi del sonno:
i primi dati, al via numerosi studi.
Per la Giornata Mondiale del Sonno (19 marzo 2021) la Fondazione Europea del Sonno/ESF ribadisce il suo impegno per la sensibilizzazione alle problematiche del sonno, promuovendo anche una newsletter informativa con cadenza mensile.
Il Covid-19 porta con sé un forte aumento dei disturbi del sonno, che già sono presenti – anche al di là della pandemia – in un’ampia fascia della popolazione, pur se spesso vengono sottostimati e non curati nel modo migliore.
Una serie di dati significativi, a questo proposito, è stata presentata martedì 16 marzo durante la conferenza stampa della Fondazione Europea del Sonno (European Sleep Foundation, ESF), un’importante istituzione, con sede a Lugano, presieduta da Claudio Bassetti, direttore del Dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna e Decano della Facoltà di medicina di Berna. All’incontro hanno partecipato anche Fabrizio Barazzoni, cofondatore con Bassetti della ESF; Mauro Manconi, responsabile del Servizio di Medicina del Sonno presso il Neurocentro della Svizzera italiana di Lugano e Winfried Randerath, direttore medico dell’ospedale Bethanien a Solingen in Germania, entrambi membri del Consiglio di fondazione ESF. La conferenza stampa è stata organizzata per sensibilizzare alla Giornata mondiale del sonno, indetta per venerdì 19 marzo dalla World Sleep Society.
Innanzitutto alcuni numeri: «I disturbi del sonno – ha spiegato Fabrizio Barazzoni – rappresentano sempre più un importante problema di salute pubblica:
* la durata media del sonno negli ultimi 20 anni è infatti diminuita di ben 40 minuti;
* il 3-5% della popolazione generale assume regolarmente sonniferi;
* già prima dell’attuale pandemia, il 30% della nostra popolazione soffriva di insonnia o di altri disturbi cronici del sonno;
* il 20-30% degli incidenti stradali sono dovuti ad attacchi di sonnolenza e circa un terzo della popolazione ammette di essersi addormentato al volante nell’ultimo anno».
Un altro problema è la difficoltà, ancora, da parte di molti medici a delineare con precisione i disturbi del sonno e ad attivare le terapie più adeguate. «Come riferisce – ha detto Bassetti – uno studio pubblicato il 22 febbraio con il supporto anche dalla Fondazione Europea del Sonno sulla rivista scientifica European journal of neurology (“Insomnia disorder: clinical and research challenges for the 21st century”), esistono ancora carenze significative nelle ricerche epidemiologiche e cliniche condotte fino a oggi, soprattutto per quanto riguarda una più precisa identificazione dei diversi tipi di insonnia, che potrebbe invece consentire una maggiore efficienza in termini di costi e di terapie». La Fondazione Europea del Sonno ha attivato diverse iniziative (Master bi-universitario di studi avanzati, “Think Tanks” e formazione continua con la Sleep Medicine Summer School e la Sleep Science Winter School internazionali) proprio per migliorare la conoscenza dei disturbi del sonno. E dal 19 marzo diffonderà anche una newsletter mensile di approfondimento (sarà possibile iscriversi sul sito www.europeansleepfoundation.ch).
Ma veniamo agli effetti del SARS-CoV-2 (il coronavirus responsabile del Covid-19) sui disturbi del sonno, in modo diretto e indiretto. Intanto bisogna dire subito che anche le cellule nervose hanno il recettore (la proteina ACE 2) utilizzato dal virus per agganciarsi ed entrare. Da qui una serie di possibili effetti neurologici, che sono emersi con sempre maggiore frequenza durante la pandemia, a partire dal calo nella percezione degli odori e dei sapori (iposmia e ipogeusia), per arrivare a forti mal di testa, agitazione psicomotoria, stati di coscienza alterata, encefalite, e altro ancora. Ma solo negli ultimi mesi sono cominciati ad arrivare anche i dati sui disturbi del sonno, e nuove ricerche sono state avviate. Uno studio partirà anche in Ticino, con l’attenzione puntata agli effetti del Covid sulla sindrome delle gambe senza riposo (Restless legs syndrome, in inglese), che provoca contrazioni notturne delle gambe, con movimenti incontrollati e irrequietezza. «I pazienti con il Covid – conferma Mauro Manconi – sembrano soffrire di “Restless” in misura maggiore, rispetto a chi non è colpito da tale disturbo. Lo studio partirà in maggio e riguarderà almeno 300 persone con infezione pregressa, o in atto. Oltre al Neurocentro, parteciperanno anche alcuni istituti di ricerca italiani: Auxologico San Luca (Milano); San Raffaele (Milano); Mondino (Pavia); Auxologico Piancavallo (Pordenone). Lo studio è finanziato da un “grant” dell’Istituto Auxologico».
Perché il Covid-19 interferisce con il sonno? Al momento non ci sono risposte precise. Secondo alcune ipotesi, SARS-CoV-2 avrebbe, fra gli altri, anche un effetto specifico sulla melatonina, l’ormone che regola il ritmo sonno-veglia.
Ma oltre agli effetti diretti del Covid-19 sui pazienti colpiti dal virus, vanno considerate anche le conseguenze psicologiche della pandemia sulla popolazione generale, con l’accentuazione dei disturbi del sonno. Uno studio dell’Università di Southampton, in Gran Bretagna, eseguito la scorsa estate su 15.000 persone, ha rivelato per esempio che una su 4 riferiva difficoltà a dormire (prima della pandemia questa percentuale era di una su 6). Il fenomeno è apparso particolarmente evidente nelle donne, tra le quali il numero di quelle che dormivano male è passato dal 18,9% al 31.8% (contro l’11,9% diventato 16,5% tra gli uomini). Anche in Cina si sono visti numeri simili: in base a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Sleep Medicine dai ricercatori di varie università, e condotto su 5.400 persone, l’insonnia al limite della soglia (“subthreshold”) nella popolazione generale è passata dal 14,6% al 20.6%, in seguito alla pandemia. Tassi definiti preoccupanti si sono registrati anche in Italia, come segnalato da uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychiatry, i cui risultati hanno mostrato una prevalenza di insonnia clinica del 18,6%, rispetto ai dati di riferimento europei del 10,1% e italiani del 7,0%.
Questi problemi sono molto presenti, come è facile immaginare, anche negli operatori medico-sanitari, sottoposti a situazioni di fortissimo stress in questo periodo di pandemia. I neurologi dell’Università di Ottawa (Canada) hanno effettuato una metanalisi (una revisione) di 55 studi dedicati al tema, che hanno coinvolto 190.000 tra medici e altri operatori sanitari, e – come riferito sulla rivista scientifica Psychiatry Research – hanno visto che insonnia, depressione, ansia e stress post-traumatico sono aumentati in media dal 15 al 24%.
Che cosa si può fare? Esistono terapie specifiche, che possono essere prescritte dagli specialisti di medicina del sonno: quale trattamento di prima linea non vi sono però i classici sonniferi, ma la terapia cognitivo-comportamentale, definita CBT-I. È però fondamentale, naturalmente, tutelare la qualità del riposo. A volte portano aiuto anche semplici accorgimenti: per esempio, non bisogna lavorare con il computer nel letto, consultare il telefono subito prima di dormire, né eccedere con le notizie. È utile regolare i ritmi circadiani esponendosi alla luce naturale al mattino, e poi mantenere una suddivisione dei tempo anche se si lavora in casa, riservando ai pasti un ruolo specifico e regolare.
www.europeansleepfoundation.ch