1. Gli strascichi della votazione del 9 febbraio 2014
Nel febbraio 2014 avevamo preso atto che il popolo svizzero in votazione aveva messo in discussione gli accordi bilaterali con l’Unione Europea, accettando una legge che limitava la libera circolazione delle persone e l’immigrazione. Al che come Partito Comunista avevamo dichiarato: “siamo convinti che la Svizzera non può chiudersi su se stessa: occorre favorire ora nel modo più esplicito possibile la cooperazione internazionale di tipo win-win! Berna si apra quindi a partnership strategiche con i paesi dei BRICS – in primis Russia e Cina – e cercando di limitare i danni economici con l’UE”. Il governo svizzero in mano alla borghesia globalista, pur di non entrare in crisi con Bruxelles, ha trovato però un escamotage e questo ha di fatto spinto l’UDC a farci ritornare alle urne.
2. La necessità di rinegoziare gli accordi bilaterali
Gli accordi bilaterali vanno rinegoziati. E’ quanto abbiamo detto come Partito Comunista in lungo e in largo nelle ultime campagne elettorali. Purtroppo esso si rivela essere un semplice slogan che resta sulla carta perché politicamente non vi sono gli equilibri, né in parlamento né in governo, per andare in questa direzione. Solamente se la popolazione farà saltare gli attuali accordi tramite la clausola ghigliottina, la Svizzera e l’Unione Europea saranno costrette a tornare al tavolo delle trattative e ridiscutere il tutto. Tatticamente – e sottolineiamo: tatticamente – votare quindi a favore dell’iniziativa lanciata dall’UDC potrebbe creare questi presupposti. L’Unione Europa tramite questi accordi bilaterali ha imposto infatti quanto segue: libera circolazione delle merci e dei capitali, deregolamentazione del mercato del lavoro e dumping salariale a causa della libera circolazione della manodopera a favore del padronato, liberalizzazione dei servizi e privatizzazioni, austerità e tagli nel sociale, ecc.
3. Una libera circolazione delle persone fuori controllo
La libera circolazione delle persone, in un contesto capitalistico con importanti differenze salariali e di condizioni di vita sia all’interno dell’UE sia fra UE e Svizzera, consiste sostanzialmente in una messa in concorrenza dei lavoratori favorendo una guerra fra poveri. Le attuali misure accompagnatorie sono solo dei cerotti, che provano a mitigare i problemi derivanti dalla stessa ma senza apportarvi una reale soluzione. Nel contesto odierno, per contrastare la crescente pressione sul mercato del lavoro s’impone pertanto un loro deciso rafforzamento, a partire da: un salario minimo di almeno 4’000.– franchi mensili; una diffusione dei Contratti collettivi di lavoro (CCL) che prevedano minimi salariali vincolanti; un potenziamento dei controlli grazie anche all’aumento degli ispettori del lavoro; un inasprimento delle sanzioni contro i trasgressori; l’istituzione di un apposito Tribunale del lavoro; una sospensione immediata dei lavori in caso d’irregolarità; un registro contenente le condizioni di lavoro applicate dalle aziende; una maggiore protezione contro i licenziamenti anzitutto dei lavoratori più vulnerabili; una vigorosa limitazione del lavoro interinale; un libero accesso delle organizzazioni sindacali sui luoghi di lavoro.
In quest’ottica è nostro compito denunciare come una libera circolazione delle persone incontrollata possa tradursi in un regime di accresciuto sfruttamento dei salariali, i quali, a causa di una deregolamentazione dell’accesso al mercato del lavoro ormai connaturata all’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC), si trovano esposti in misura sempre maggiore a una generalizzata corsa al ribasso dei diritti sociali. Per questo motivo, specialmente in mancanza di nuove e molto più incisive misure d’accompagnamento, occorre chinarsi anche sull’opportunità di rinunciare al principio vigente dell’ammissione bilaterale degli stranieri, proprio nell’ottica di arginare la liberalizzazione da quest’ultimo prodotta.
4. Il rischio di statuti di lavoro precari e discriminatori
Detto ciò, non possiamo ignorare che lo scenario alternativo alla libera circolazione delle persone, almeno nella forma prospettata dagli iniziativisti, getterebbe le basi per degli statuti di lavoro precari e discriminatori. Sappiamo ad esempio che grazie alla Legge sugli stranieri (LStrl) odierna, alla quale sarebbe assoggettata la manodopera estera in assenza dell’ALC, il padronato può sfruttare infatti la brevità dei permessi di soggiorno per indebolire la posizione contrattuale e i diritti dei salariati. Non a caso, negli ultimi anni si è verificato un aumento proprio dei permessi di durata inferiore a un anno, i quali pregiudicano tra l’altro la mobilità professionale e il ricongiungimento familiare dei lavoratori stranieri. In questo senso, vedendo comunque condizionato l’afflusso di manodopera principalmente dalla domanda dell’economia anche con un sistema di contingenti, il rischio di stimolare un livellamento verso il basso dei diritti sociali sarebbe quindi presente. La nostra analisi dev’essere insomma dialettica ma rimarcare, in ogni caso, la necessità di una riforma avanzata ed egualitaria soprattutto del diritto del lavoro interno, contrariamente alla retorica xenofoba promossa dall’UDC.
5. L’attuale pressione sulle PMI locali
Non va dimenticato inoltre che la libera circolazione delle persone alimenta anche una concorrenza deleteria per le PMI locali, basti pensare alla problematica dei cosiddetti padroncini e delle imprese estere che distaccano lavoratori speculando sulla differenza del costo del lavoro nel Paese d’origine. Come dimostrato dai negoziati sull’Accordo quadro, le misure collaterali in questo campo sono messe tuttavia sempre più in discussione proprio in quanto incompatibili con l’ALC, compromettendo così una protezione dei salari davvero efficace. Per mettere un freno a questo fenomeno, si rende necessario perseguire quantomeno il rispetto effettivo delle condizioni di lavoro vigenti in Svizzera, un inasprimento dei controlli, un aumento del termine di notifica e il deposito di un’adeguata cauzione per le aziende che distaccano lavoratori, consapevoli che l’efficacia delle misure contemplabili dal diritto interno troverà comunque un limite nel regime instaurato dall’ALC.
6. Un allarmismo eccessivo sulla caduta dei bilaterali
Far saltare gli accordi bilaterali restituirebbe dei margini di sovranità sia nazionale sia popolare alla Svizzera e potrebbe spingere il nostro governo a rinegoziare effettivamente dei nuovi accordi bilaterali con l’UE su basi che siano più vantaggiose per i lavoratori che vivono nel nostro Paese e per il tessuto produttivo. Se questa ipotesi di rinegoziazione si rivelasse infruttuoso a causa della chiusura di Bruxelles, la Svizzera resterebbe in ogni caso parte dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) e dovrebbe a nostro avviso entrare a pieno titolo nell’area economica euroasiatica e rafforzare ulteriormente i legami economici e commerciali con i paesi emergenti. La minaccia secondo cui, senza chinare il capo agli interessi dell’UE, finiremmo in una situazione di autarchia e di embargo economico fa quindi parte della guerra psicologica a cui non dobbiamo cedere, così come non hanno ceduto i lavoratori, i sindacati e i comunisti britannici. L’accesso svizzero al mercato europeo (che da sempre rappresenta uno degli spauracchi utilizzati dalle forze europeiste sia di destra sia della sinistra liberal) è in realtà garantito dagli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e dunque non decadranno qualora saltassero gli accordi bilaterali fra Svizzera e UE. Il rischio per la Svizzera di una caduta degli Accordi bilaterali I dovuto alla clausola ghigliottina andrebbe quindi relativizzato, non da ultimo in ragione della preminenza degli interessi dell’UE in tale pacchetto e della possibilità sempre aperta di rinegoziarli, eventualmente anche con singoli Stati.
7. L’orizzonte dei rapporti tra Svizzera e Cina
Alcuni temono che nel caso in cui gli accordi bilaterali entrassero in crisi, rischieremmo pure un congelamento dei rapporti tra Svizzera e Cina, un paese emergente strategico per lo sviluppo del multipolarismo e della nostra stessa economia nazionale. Premesso che la linea politica del Partito Comunista debba essere indipendente anche dai governi delle potenze considerate amiche, si tratta a nostro avviso di un problema che non sussiste: la Cina da anni, infatti, favorisce la diversificazione dei propri partner, considerandone gli aspetti particolari della loro economia e della loro politica. La Svizzera dunque si presenta agli occhi della Cina come una realtà interessante proprio per la sua particolare situazione politico-economica: inserita nel continente europeo ma non strettamente legata alle strategie geo-economiche (in gran parte filo-USA e ostili proprio alla Cina) imposte da Bruxelles a tutti i paesi aderenti. E’ questo nostro posizionamento “indipendente” che ha permesso alla Svizzera di diventare il primo paese del continente europeo (dopo l’Islanda, anche lei non formalmente parte dell’UE!) a siglare un accordo di libero scambio con la Cina, così come di diventare membro dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), partecipando alla preparazione concettuale e pratica di questa nuova istituzione finanziaria a guida cinese. Una “crisi” tra Svizzera e UE potrebbe dunque addirittura rafforzare l’interesse cinese per la Svizzera, così come sembra il caso attualmente della Gran Bretagna, la quale nonostante l’annunciata Brexit è stata di fatto designata da Pechino quale piazza principale per l’internazionalizzazione della propria valuta.
8. Per un’analisi di classe dell’iniziativa
L’iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)” in votazione il prossimo 27 settembre 2020 non può dunque limitarsi, da parte di noi marxisti, ad un giudizio superficiale e aprioristico sulle intenzioni del partito e di quella parte di borghesia che la promuove, oppure sul carattere più o meno xenofobo della stessa, come invece sembra essere il caso per il resto della sinistra. Questa iniziativa popolare, raggiungendo potenzialmente l’obiettivo che ci prefiggiamo, e cioè la ridiscussione degli accordi bilaterali merita infatti un ampio dibattito interno al Partito Comunista: distanziandoci dalle motivazioni della destra nazionalista sul numero di lavoratori stranieri in Svizzera, bisogna piuttosto rendersi conto che il sistema di libera circolazione delle persone è uno strumento vantaggioso per il padronato e il grande capitale, in quanto responsabile del dumping salariale e sociale di cui soffrono tutti i lavoratori – svizzeri e immigrati – che vivono nel nostro Paese.
9. La proposta della “libertà di voto”
Considerata infine la natura strategica e controversa di alcune questioni sollevate dall’iniziativa, le quali, non essendo state ancora oggetto di una riflessione e posizione consolidata al nostro interno, dovrebbero meritare una discussione maggiormente svincolata da una proposta predefinita e perciò di più ampio respiro, per questo tema in votazione si ritiene opportuno propendere al momento per la libertà di voto. Con ciò non s’intende lasciare trasparire alcuna spaccatura, ma piuttosto la consapevolezza della complessità del problema e dell’esigenza di ponderare i diversi argomenti esposti, in vista d’una necessaria sintesi che dovrà essere prevista al prossimo Congresso.