Il 28 luglio 2013 durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro, Papa Francesco fece un’affermazione che suscitò molto scalpore e fu oggetto di grandi fraintendimenti: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”. Ora, se da una parte l’accoglienza dev’essere certamente priva di ogni pregiudizio, dall’altra non c’è reale accoglienza senza ascolto della sofferenza e dell’inquitudine che la persona accolta vive.
Non è facile parlare liberamente di omosessualità. Troppo rapidamente si delineano fronti opposti, che rendono impossibile un vero e proficuo dialogo in merito. Eppure sarebbe così importante poterne parlare liberamente, senza un indebito imbarazzo ma anche liberi da una pregiudiziale avversione o da una previa e totale accondiscendenza, che non ammette discussioni. Noi vogliamo provare a farlo con la testimonianza di Giorgio Ponte.
D’origine palermitana, Giorgio ha trentun anni, fa lo scrittore a Milano e sin dall’adolescenza ha sentito una forte attrazione per persone dello stesso sesso. Intevenendo nell’infuocato dibattito italiano sulle unioni omosesuali ha scritto: “Io conosco il vostro dolore. Fa male non sentirsi capiti. Fa male credere che il mondo sia contro di noi. Fa male avere la sensazione che la gente esprima un giudizio sulla vostra vita, su chi amate, sulla natura di ciò che provate, come se ci fosse qualcuno in grado di entrare nella profondità della vostra anima e guardare quanto ci sia di egoismo o quanto di amore vero”. Fa male, è vero, ma trasformare questo dolore in rivendicazioni ad oltranza senza alcuna distinzione non è secondo Ponte la soluzione: anzi, rischia di creare problemi ancora più grandi.
“Io non mi ritengo né migliore né peggiore di nessuno per le mie pulsioni sessuali e non ho bisogno di organi speciali che mi tutelino, né di leggi a parte o di trattamenti privilegiati, ma solo di essere amato in verità, come ogni altra persona sulla terra. Poiché solo conoscendo la verità su ciò che siamo, potremo sperare di vivere serenamente ciò che ci è dato”…
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