Si sa, il rapporto tra Svizzera e Unione Europea è sempre stato complicato. Da sempre l’UE ha cercato di imporre la propria volontà sulla Confederazione, rea di non aver mai ceduto alle lusinghe di un’adesione. Questo solo per merito del popolo, perché se fosse per la maggior parte della classe politica, nel “club” ci saremmo già da anni.
Il diktat contro il possesso privato di armi non ne è che l’ennesima prova di forza nel farci “ingoiare”, boccone dopo boccone, leggi unioniste.
Comunque, non dobbiamo negare l’evidenza, nell’ultimo decennio alcuni paesi europei sono stati sottoposti ad un enorme stress per quanto riguarda la sicurezza nazionale per via di diversi attentati terroristici. Certamente trattasi di un tema estremamente delicato sul quale non voglio soffermarmi nei dettagli, ma un fatto certo rimane: i colpevoli di tali atti abominevoli erano tutt’altro che cittadini rispettabili. Spesso si trattava di anime perse e indottrinate da credenze e promesse di una qualche redenzione, sottoposti a un lavaggio del cervello e per di più con armi proibite acquistate al mercato nero, quindi non legalmente custodite.
La prevenzione ci vuole, ma perché imporre il disarmo per un popolo, quello svizzero, per il quale il tiro amatoriale e la caccia sono ben altro che dei passatempi, ma delle vere e proprie tradizioni. Lo Stato come in altri ambiti (fisco, servizio militare e arma in casa) ha sempre mostrato fiducia nel cittadino e quest’ultimo ha sempre dimostrato d’esserne all’altezza. Forse in altri paesi attorno a noi, questo rispetto stato-cittadino non è mai esistito o è venuto a mancare con l’adesione all’UE che, con le proprie politiche interne, ha minato e distrutto le identità nazionali.
Sappiamo quanto è stato difficile per la cultura elvetica diventare appunto una “cultura” con dei valori che identificano ogni cittadino ticinese e svizzero.
Sulla carta l’imposizione (sì, uso il termine “imposizione” perché è una cosa che ci viene imposta da fuori) del disarmo servirebbe per prevenire ulteriori attacchi terroristici, ma non farebbe altro che imporre, per l’ennesima volta, la volontà dell’Unione Europea sul nostro popolo e intrappolarci giuridicamente.
Il contratto di Schengen, sottoscritto tempo fa non è in pericolo come vorrebbero far credere i fautori del SI; Consiglio Federale e UE dovranno trovare una soluzione perché Schengen interessa entrambi ed è un accordo politico e non giuridico.
Anzi, nessuno lo dice apertamente ma questa votazione è solo la prima fase. Vi sono già pianificate dall’UE ulteriori restrizioni e la prossima dovrebbe essere nel 2022 e poi nel 2027. Ebbene, non vorreste credere che alla prossima scadenza, con qualsiasi scusa, non venga inasprita ulteriormente la legge? Togliendo definitivamente tutte le armi legali ai cittadini. Cacciatori a rischio anche loro di sicuro come tutti i cittadini onesti. Come mai i sostenitori del SI non lo dicono? Come mai giocano solo sul tema degli accordi di Schengen? Ovviamente fa molto più presa spaventare i cittadini minacciandoli della perdita di questi accordi.
Anche questa volta il potere è nelle nostre mani. Il 19 maggio bisogna votare “NO” per sostenere la nostra identità, la milizia svizzera, le tradizioni elvetiche e i diritti dei cittadini e indirettamente rifiutare l’ennesima trasfusione di “leggi europee nelle nostre vene” giuridiche.
L’imminente referendum riguarda ogni cittadino a cui sta a cuore l’indipendenza e l’identità culturale del nostro paese.
Voterò quindi NO il prossimo 19 maggio.
Tiziano Galeazzi
Deputato UDC in Gran Consiglio