Nel 2019 si festeggiano i 50 dalla concessione del diritto di voto da parte degli uomini ticinesi alle donne ticinesi. Oggi le donne in Gran Consiglio, nonostante sia trascorso mezzo secolo, sono solo 23 su 90. Questa proporzione fra donne e uomini non rispecchia affatto la composizione della popolazione ticinese (che conta un 51,2% di donne secondo i dati Ustat del 2016).
I motivi di questa situazione sono sicuramente molteplici e molto risalenti nel tempo, ma questa constatazione non deve assolutamente essere un alibi per non intervenire facendo tutto quanto è nelle nostre possibilità per eliminare il prima possibile una situazione decisamente ingiusta.
La presenza delle donne nelle istituzioni, a tutti i livelli, è una questione di giustizia sociale.
La presente iniziativa chiede di incentivare e promuovere l’accesso delle donne alla politica e ai ruoli istituzionali con un semplice esercizio di modifica del linguaggio a costo zero.
Le parole danno veste ai pensieri, modellano la nostra realtà. Il semplice fatto di dire o pensare la parola “drago”, ad esempio, dà vita nella nostra mente a una creatura mitologica, rendendola possibile e, in un certo senso, reale.
Senza voler accumunare forzatamente le donne che fanno politica a creature fantastiche (e pericolose), si propone qui di utilizzare il potere evocativo delle parole per modificare, in un certo senso, la realtà.
Semplicemente “traducendo” al femminile una sola delle migliaia di leggi che compongono il nostro ordinamento giuridico, saremo in grado di materializzare nella mente di chi legge le norme tutta una serie di figure oggi ancora troppo rare: le candidate, le consigliere comunali, le sindache, le deputate al Gran Consiglio, le consigliere di Stato…
Al tempo stesso consentiremo agli uomini (la minoranza della popolazione del nostro Cantone) di provare cosa significa leggere un testo a noi indirizzato ma in cui il genere è sbagliato. È un esercizio interessante che promuove l’elasticità mentale.
Traducendo al femminile (e solo al femminile!) le norme, daremo legittimità e diritto di presenza alle donne in politica in modo inequivocabile. E, per una volta, ciò sarà per forza perfettamente chiaro a tutti, anche agli uomini, perché sarà scritto nero su bianco.
La presente iniziativa generica avrebbe ben potuto essere un’iniziativa elaborata ma, data la mole della Legge sull’esercizio dei diritti politici (LEDP), è preferibile che il lavoro di “traduzione” sia fatto dagli organi compenti onde evitare errori o sviste.
Si chiede di evitare di utilizzare il doppio termine femminile/maschile e di fare uso unicamente del femminile, altrimenti si vanifica lo scopo stesso dell’iniziativa.
Lo scopo, infatti, non è rendere edotte le persone che leggono la LEDP del fatto che nella popolazione esistono le donne e gli uomini (cosa che è nota) bensì dedicare alle donne, e unicamente alle donne, una legge importantissima: la legge che disciplina l’esercizio dei nostri diritti politici.
Si propone d’inserire in coda alla LEDP (e possibilmente non in testa, sempre per il motivo appena enunciato) un articolo che spieghi come i termini siano espressi unicamente al femminile ma vadano intesi anche per il maschile. Suona strano, ma non lo è: il reciproco, infatti, è la norma. Cioè questa stessa situazione, all’inverso, vale per le donne e per tutte le altre leggi: per le donne, infatti, è già implicito che il termine al maschile “includa” anche quello femminile. In realtà il termine al maschile non include ma “oblitera” quello al femminile, a causa del fatto che è sempre così! Solo il maschile ha diritto di cittadinanza nelle nostre leggi e, di conseguenza, nella nostra realtà (plasmata dalle parole).
In attesa di avere metà del corpus normativo al femminile e metà al maschile, in modo da non segnare o perpetuare una predominanza dell’uomo sulla donna, si ritiene un segnale importante – anzi, fondamentale – che ci sia almeno una legge, questa legge, tutta al femminile.
In applicazione dell’art. 103 LGC si chiede:
– che la Legge sull’esercizio dei diritti politici (LEDP) sia interamente tradotta al femminile e unicamente al femminile;
– che sia dato conto in un articolo, in coda alla legge, del fatto che i termini al femminile includano anche il maschile.
Con ossequio,
Tamara Merlo